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Auguri ad Adriano Panatta, leggenda del tennis

foto di: Immagini prese dal web

Oggi, 9 luglio, non è solo la vigilia della finale del Torneo di Wimbledon: nel mondo del tennis, la data è una ricorrenza molto importante. È infatti il giorno in cui il grande campione azzurro del tennis Adriano Panatta spegne settantuno candeline.

 

Adriano, un romano che ha fatto sognare l’Italia

Classe 1950, nasce a Roma Adriano Panatta, colui che secondo molti è il più grande tennista italiano di tutti i tempi, addirittura alla pari con Nicola Pietrangeli, l’altro campione azzurro che si classificò in finale a Wimbledon nel 1961. Certo, negli ultimi vent’anni l’Italia ha avuto ottimi tennisti, ma nessuno come Panatta. E pensare che, in principio, sognava di darsi alla carriera di nuotatore. Fu il padre Ascenzio, custode del “Tennis Club Parioli, a instradarlo nel mondo del tennis iscrivendolo a lezione quando aveva sei anni. Cresciuto con gli insegnamenti di Wally Sandonnino e Simon Giordano, esordì a soli diciassette anni disputando il torneo giovanile di Wimbledon: sbaragliati Fernando Gentil e Terje Larsen, si classificò in semifinale contro John Alexander, futuro vincitore del torneo. Era il 1968. Appena otto anni più tardi, nel 1976, Panatta entrò nel mito: infilò una vittoria dietro l’altra ai tornei internazionali più importanti del mondo tennistico e si classifico al numero quattro dell’ATP.

 

I successi

Il 1976 fu quindi l’anno magico di Adriano Panatta. Incredibile ascesa, ma non per questo meno tortuosa.  Agli Internazionali d’Italia a Roma una sudatissima rimonta da 1-5 a uno straordinario 7-6 gli consentì di disincastrarsi dal primo turno contro l’australiano Kim Warwick, e di proseguire nonostante gli auspici non favorevoli. Nei quarti di finale, ottenne una vittoria molto criticata contro lo statunitense Harold Solomon, che si ritirò per protesta asserendo di avere subìto un torto arbitrale. Semifinale contro John Newcombe. La finale si giocava contro l’argentino Guillermo Vilas, numero 2 del mondo, ma Panatta non si fece intimorire: 2-6 7-6 6-2 7-6 e il Foro Italico in visibilio.

Anche al Roland Garros l’inizio fu in salita contro il cecoslovacco Hutka, battuto per 12-10 al quinto set. Nei quarti di finale il capolavoro: Panatte batte Borg in quattro set. Passò la semifinale battendo lo statunitense Dibbs, e, poi, in finale Solomon: Panatta divenne l’unico italiano nella storia a vincere Roma e Parigi nello stesso anno.

Sempre 1976, settembre, finale della Coppa Davis Cile-Italia: momento fitto di tensioni politiche per la dittatura Pinochet, il governo italiano propendeva per il boicottaggio, ma, con la mediazione del Partito Comunista Italiano, in stretto contatto con il Partito Comunista Cileno clandestino, gli azzurri partirono alla volta dell’Estadio Nacional de Chile. Quella di quell’anno mitico è rimasta l’unica Davis conquistata dall’Italia. Le vittorie e le finali che Adriano ha giocato negli anni successivi sono state moltissime, ma fino alla fine della sua carriera nel tennis (nel 1997 come capitano non giocatore della squadra di Davis) Adriano è il tennista che ha vinto Roma, Parigi e la Davis nel giro di pochi mesi, colui che quando era in campo teneva la gente inchiodata allo schermo per cinque ore consecutive.

 

L’artista della racchetta

Imprevedibile (e imprendibile per gli avversari) e creativo, Adriano Panatta con la sua capigliatura folta come marchio di fabbrica ha tenuto col fiato sospeso migliaia di italiani. Moltissimi hanno preso in mano la racchetta prima volta sulla scorta del suo sfolgorante esempio, dopo aver trascorso interi pomeriggi ad ammirarne la leggerezza e il talento in televisione.

La classe nel giocare, le sue “veroniche” e le sue volèe alte di rovescio e in tuffo facevano esultare la folla del Foro Italico a ogni set, a ogni punto. Le qualità che Adriano incarnava sui campi da tennis ricalcano un po’ il mito dell’italiano artista scanzonato: un talento eccellente che seppe sfruttare quella partenza privilegiata. Cresciuto a pane e tennis, Panatta non ha mai fatto della preparazione atletica il suo punto di forza: il suo modo di giocare, sbarazzino come il ciuffo di capelli – look che non ha mai abbandonato –, è sempre stato affidato più all’immaginazione che alla mera tecnica. Velocità nel trovare soluzioni imprevedibili, agilità e una certa delicatezza gli hanno fatto guadagnare a pieno diritto il titolo di fuoriclasse.