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La festa di Bellona, oggi dimenticata, racconta la Roma più arcaica, quella che invocava la forza prima delle battaglie. Un tuffo affascinante nel cuore pulsante dell’Antico Impero.
Tra le numerose divinità dell’antico pantheon romano, Bellona occupava un posto di rilievo come dea della guerra e del furore bellico.
Il suo culto, sebbene meno diffuso rispetto a quello di Marte, era particolarmente intenso tra i soldati e i sacerdoti addetti alle cerimonie della guerra.
La festa dedicata a Bellona si celebrava il 3 giugno, e rappresentava un momento carico di tensione rituale e sacralità, in cui Roma riconosceva la potenza distruttrice e ordinatrice del conflitto armato.
Il tempio di Bellona si trovava vicino al Circo Flaminio, il confine sacro della città.
Questa collocazione non era casuale: era qui, infatti, che si tenevano le dichiarazioni di guerra contro i nemici stranieri. Durante la festa, i salii o altri sacerdoti addetti alla dea compivano rituali solenni, che potevano includere anche gesti cruenti: secondo alcune fonti, i sacerdoti si infliggevano ferite come simbolo di offerta e partecipazione alla violenza sacra.
La celebrazione sottolineava l’aspetto più estremo e febbrile della guerra, incarnato dalla stessa dea, spesso rappresentata con occhi accesi e capelli sciolti al vento, armata di spada o lancia.
La figura di Bellona ha influenzato non solo la religione romana, ma anche la cultura e l’arte, sopravvivendo nei secoli come archetipo della furia bellica femminile.
Il 3 giugno non era solo una festa rituale, ma un momento in cui Roma prendeva consapevolezza della forza necessaria per espandere e proteggere i suoi confini. Nella Bellona romana si ritrovano sia la gloria militare che il lato oscuro della guerra, in un equilibrio che il popolo di Roma cercava di tenere a bada con il rito e il sacrificio.
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