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Una delle fontane più piccole e misteriose di Roma, tra leggende popolari, aneddoti rinascimentali e curiosità romane
Nel cuore del centro storico di Roma, tra i palazzi antichi di via Lata e a pochi passi da via del Corso, si trova una delle fontane più curiose di Roma: la Fontana del Facchino. Un piccolo gioiello spesso ignorato dai turisti frettolosi, ma ricco di storia, fascino e ironia tutta romana.
Realizzata nel 1580 per volontà dell’Università degli Acquaroli, la corporazione dei portatori d’acqua, la fontana raffigura proprio uno di loro. L’uomo scolpito nella pietra trasporta una botte da cui sgorga – o meglio sgorgava – l’acqua. È una scena semplice, quotidiana, che rende questa fontana diversa dalle più celebri di Roma, popolate da tritoni, dei e creature mitologiche. Qui c’è un lavoratore vero, con la fatica sulle spalle e la città nel cuore.
Ma il motivo per cui questa fontana è rimasta nel cuore dei romani va oltre l’arte. Intorno alla sua figura è nata una delle leggende romane più divertenti: quella del “facchino ubriaco”. Secondo il racconto popolare, il volto stanco e un po’ sbilenco della statua farebbe pensare che il facchino si sia scolato una parte della botte… forse non piena d’acqua.
Che fosse vino o solo fantasia, questa storia ha regalato un soprannome affettuoso a un monumento tanto umile quanto amato. Un simbolo della Roma verace, quella che si prende in giro ma non si dimentica.
La Fontana del Facchino fa parte delle famose statue parlanti di Roma, insieme a Pasquino, il Babuino, Marforio, Madama Lucrezia e l’Abate Luigi. Per secoli queste statue sono state il megafono del popolo romano: ci si appendevano versi satirici, critiche alla politica, sfoghi contro il clero e battute graffianti, soprattutto di notte. Una forma di protesta anonima e geniale, che faceva sentire la voce di chi voce non aveva.
Il Facchino, però, è diverso dagli altri. Non raffigura un dio antico o una figura mitologica, ma un uomo del popolo, vestito alla rinascimentale, che lavora.
Forse è per questo che i romani lo hanno sempre sentito più vicino. In lui vedevano se stessi, i genitori, gli zii, i lavoratori silenziosi che ogni giorno mandano avanti la città.
Una statua minuscola che ha saputo farsi ascoltare – e che ancora oggi parla, anche senza dire una parola.
La Fontana del Facchino si trova in via Lata, affacciata sul muro di un antico edificio che ospitava l’Università degli Acquaroli. È facilmente raggiungibile a piedi da Piazza Venezia o da via del Corso. Eppure, nonostante sia nel cuore pulsante della città, in molti la ignorano. Troppo impegnati a guardare vetrine o seguire il GPS.
Ma chi alza lo sguardo e si ferma, scopre un piccolo angolo di Roma nascosta. Si notano i segni del tempo, le cicatrici dei restauri, le linee della pietra consumata. L’acqua non esce più dalla botte, ma sembra quasi che quel facchino sia ancora lì, pronto a faticare. Piega la schiena, sì, ma lo fa con fierezza. È come se dicesse: “Nun me fermo manco adesso”.
Visitare questa fontana è molto più di uno scatto da turista. È un modo per entrare davvero nello spirito di Roma. Quella autentica, fatta di dettagli, storie sussurrate e monumenti che non cercano applausi.
Vale la pena deviare il cammino, rallentare un attimo e salutarla. Magari con un sorriso. Come farebbe lei.
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