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Il termine supplì ha a che fare con la Francia, l’origine del nome ha due diverse spiegazioni, una più leggendaria e una linguistica. Ma da quanto tempo i romani cucinano questa prelibatezza? E tu quale variante la preferisci?
Il supplì è uno delle pietanze più celebri della cucina romana. Una crocchetta di riso dalla forma allungata che va aperta in due per creare un filo tra le parti di riso con la mozzarella. Per prepararli si utilizza il riso da risotto bollito in acqua salata, fatto raffreddare e condito con sugo, parmigiano e uova crude, con all’interno carne macinata o pollo, funghi secchi, passato poi nel pane grattugiato e fritto in olio bollente.
I supplì possono essere cotti anche al forno su teglia imburrata. Le varianti sono molte, dall’inserimento nell’impasto di verdure a quello di pesce, preparato in questo modo soprattuto lungo il litorale. Le combinazioni di sapori sono aumentate di recente, con alcune pizzerie che propongono supplì alla gricia o all’amatriciana, nuove interpretazioni di una ricetta tradizionale.
Il termine supplì rimanda al francese surprise che significa sorpresa. Nella cucina transalpina en surprise indica tutti i tipi di crocchette ricoperte da pangrattato. A portarla a Roma sarebbero stati dei soldati che occuparono la città nel 1847. Una leggenda narra che un soldato francese, trovatosi a passeggiare per le vie di Roma, gustando la polpetta di riso appena fritta, definì la mozzarella nascosta al suo interno una vera e propria sorpresa. I supplì romani appaiono anche nel carteggio fra Sibilla Aleramo e James Joyce. Lo scrittore irlandese, trasferitosi a Parigi, ricorda con nostalgia all’amica i cartocci pieni di supplì fritti che comprava con la moglie nelle friggitorie durante il suo soggiorno romano nel 1906.
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