“Restà come l’aretino Pietro”, il detto di chi si trova nei guai
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Questo detto è una perla di saggezza popolare, che ci trasmette una grande lezione di vita, ricordandoci che la speranza non si arrende mai, neppure quando tutto sembra perduto. Ma quali sono le sue origini?
Il proverbio “l’ultima che more è la speranza” è una delle espressioni più emblematiche del dialetto romano, intrisa di quella saggezza popolare che sa mescolare verità e ironia.
Questa frase, che tradotta letteralmente significa “l’ultima che muore è la speranza,” suggerisce che, nonostante le difficoltà e le avversità della vita, si tende a mantenere la speranza fino alla fine. La saggezza dei romani, infatti, ci insegna che, anche nei momenti più bui, la speranza è l’ultimo filo a cui ci aggrappiamo, quasi come un’ancora di salvezza contro il naufragio delle certezze.
Le origini di questo proverbio si perdono nel tempo, ma affondano le radici nella cultura contadina e nel mondo antico, dove la speranza era spesso l’unico conforto in una vita fatta di stenti e fatiche.
I romani, con il loro umorismo tagliente, hanno saputo sintetizzare questa filosofia di vita in una battuta che, se da una parte invita a non perdere mai la speranza, dall’altra sottolinea con un sorriso amaro la consapevolezza che, a volte, aggrapparsi alla speranza è più un’illusione che una realtà.
Nel contesto moderno, “l’ultima che more è la speranza” continua a essere utilizzato, sia nei momenti di difficoltà personale che collettiva. In un mondo che cambia rapidamente e in cui le certezze sembrano sfuggire di mano, questa espressione diventa una sorta di mantra per affrontare l’incertezza quotidiana.
Non è solo un richiamo alla resilienza, ma anche un invito a guardare oltre le apparenze, a cercare sempre una via d’uscita, un’alternativa. È un modo per ricordarci che, finché c’è speranza, c’è sempre la possibilità di un futuro migliore, anche quando tutto sembra perduto.
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