Turisti nella Capitale: Roma in Fest
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Questa nuova tappa inizia con un suggerimento: non prendete la metro. I mezzi sotterranei vi oscureranno semplicemente la vista di una delle vie più larghe che troverete mentre ci addentriamo nuovamente nel cuore della nostra Capitale. Ciò che vi propongo non è troppo distante dal luogo che ci stiamo lasciando alle spalle, ma i suoi lati vi confonderanno.
Da Piramide a Circo Massimo il passo è breve, ma obbligatorio. Qualora le suole delle vostre scarpe vi stia chiedendo pietà, potrei accettare un piccolo giro turistico sulla linea 3 del tram. Potremmo far rientrare questo “riposo” nelle esperienze mistiche che vengono proposte al romano nel quotidiano. Inequivocabile, infatti, quella particolare linea di superficie è quasi un viaggio interculturale culturale. Tra odori e suoni, infatti, vi confonderà e vi farà credere di aver attraversato l’intero pianeta in soli cinque minuti.
In ogni caso, una volta arrivati sotto le bandiere colorate che costeggiando il palazzo della FAO, alla vostra sinistra apparirà quell’amata distesa di terra, erba e rovine. Le sue destinazioni, nel corso del tempo, sono state differenti. Credo, però, che adesso abbia quella un po’ più nobile. Il Circo Massimo racchiude, ad oggi, i canti e le speranze delle diverse generazioni che hanno arato il suo pavimento a suon di salti e di passi. Destinato a racchiudere diverse manifestazioni e concerti, il suo palco è divenuto tra quelli più imponenti nel nostro territorio. Da Vasco agli Immagine Dragons, così come il Primo Maggio stesso, lo scenario non è cambiato e forse il pubblico gli ha dato fin troppa poca importanza. Per me è quasi l’esempio di quanto diamo per scontato ciò che ci circonda. Il romano, specialmente, è abituato alla magnificenza del Colosseo tanto da trattarlo semplicemente come una rotonda.
Qui, la storia cede il passo alla modernità con fin troppa facilità.
Questo è stato il set di diversi progetti cinematografici, basti pensare al fatto che “Ben Hur” doveva proprio esser girato lì prima che la prefettura non desse i permessi alla troupe. In ogni caso, ciò che ne rimane sulla pelle è la condivisione. L’unica costante di tutto il tempo che passa è proprio questo aspetto: la voglia di trovarsi e di stare insieme.
Che fosse come mercato, che fosse il luogo per far riposare i propri cavalli, che sia la voglia di urlare sotto il cielo di Mamma Roma, non importa… lo stai facendo in compagnia di altre migliaia di anime che si legano alla propria. Le senti addosso e questa prospettiva ha la capacità di farti venire la pelle d’oca. Quindi, scendi le scale, percorri quella terra, siediti su quell’erba e chiudi gli occhi. Assumi la posizione che più preferisci; stenditi o incrocia le gambe, guarda il cielo o l’orizzonte. Non importa, basta che tu resti in stasi e assapori la storia percuoterti l’anima.
In sottofondo, mi sembra quasi scontato dirlo, possiamo persino sentire la voce di Antonello Venditti che ci ricorda quanto bella sia Roma mentre ne assapori i diversi aspetti. Mentre, però, continui ad immaginare la storia, i nostri piedi devono mettersi in moto, perché la nostra avventura non è ancora terminata. Quello che vi aspetta è un percorso in salita fatto di rose e aranci. Secondo voi perché vi ho consigliato di tenere ben a mente le parole del nostro Antonello nazionale? Beh… per poter ammirare la “maestosità del Cuppolone” da quel piccolo buco della serratura.
“Ti ho persa al giardino degli aranci” canta una recente canzone di cui non citerò molto altro, ma la sensazione che voglio restituirvi è proprio quella delle vertigini che attanagliano la bocca dello stomaco col romanticismo. Quello che stiamo percorrendo, infatti, è il luogo delle dichiarazioni per eccellenza. Vi sembrerà di stare in una piccola bomboniera in grado di rendervi ebri con i suoi profumi, cosa che non accadrebbe neanche ad avere una bottiglia di Chianti tra le dita.
Si, qui la sfida potrebbe essere quella di riuscire a cogliere la “golden hour” così da poter scattare la vostra foto più instagrammabile, ma ancora una volta vi invito a non farlo. Vi invito a chiamare quante più persone possibili così da potervi perdere tra quei roseti. Un piccolo labirinto che potrebbe tranquillamente essere semplicemente immaginario, ma fatto da quelle montagne russe costruite dai nostri sentimentali castelli in aria. Il giardino degli aranci è uno di quei luoghi che vi farà sentire innamorati, ma spero solo che questo sia un sentimento da riversare verso voi stessi e non verso qualche fugace bacio rubato.
Vi saluto, in attesa della prossima tappa, immaginandovi chini verso la magica toppa di una porta. La fila, molto spesso, è quasi interminabile e io non ne avevo mai compreso a pieno il fascino. Fin quando, al posto di rientrare a casa, una notte mi hanno costretta a salire lì in cima. Le stelle illuminavano il firmamento e il terrore di finire sotto arresto per qualche stranissima ragione ci faceva tenere a bada il volume della voce. Sono stata condotta controvoglia verso quella serratura e siamo rimasti li per ore nel vano tentativo che le telecamere dei nostri cellulari mettessero a fuoco San Pietro.
Lì ho compreso una cosa: la grandezza dell’amore e la follia che lo accompagna. Scalzi, con i piedi doloranti, non c’era nient’altro che non fosse quell’unico stupido obiettivo. Volevamo portarci a casa quella foto, prima di crollare irrimediabilmente a letto così da poter salutare il giorno che c’era appena passato addosso. Intanto, però, testardi restavamo lì a schiamazzare fingendo di non star urlando. Restavamo lì, a contemplare la città dal suo più bieco e cieco punto di vista.
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