Turisti nella Capitale: il cuore dei gattari
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L’arrivo del “nuovo anno” è segnato da tanti piccoli step che segnano esattamente i ritorni. Si, qui si perpetra la retorica del primo di settembre come l’inizio di un nuovo ciclo. Abitudini e novità si susseguono venendo scanditi dall’inesorabile scorrere del tempo. Le giornate diventano un continuo rinnovo e i riti vengono sanciti anche dalla propria devozione. Per poter affrontare questa nuova tappa, di conseguenza, diviene necessario comprendere dove è rivolta la nostra devozione e analizzarne la storia.
Restiamo tra le vie che lambiscono Roma Nord dalla zona più centrale. Superiamo Piazza del Popolo, prendendo quel tram che il più delle volte è sostituito dai bus; oppure scendiamo per via Trionfale, considerato che un po’ da lì arriviamo. Dopo aver toccato e studiato le stelle, non ci resta far altro che osservare il firmamento che corre dietro a un pallone. I luoghi che stiamo calpestando sono densi e pregni di voci e di cori. Lo stadio rimbomba in tutta la sua fierezza e voi avete diverse possibilità per viverlo.
Sia se voi abbiate occupato i suoi spalti, sia se voi abbiate camminato sul suo prato, tutto urla di pura e semplice devozione. Bandiere che sventolano, facce dipinte, volti tesi e tersi di lacrime. Entrare all’Olimpico ti fa sentire a contatto con le divinità raffigurate nelle statue che costeggiano il Foro Italico. Gli spalti hanno il potere di farti sentire un tutt’uno con milioni di cuori che pregano per lo stesso risultato. Entrare sul prato, specie per un concerto, ti schiaccia e ti fa sentire piccolo piccolo. Un formichina che muove i suoi passi sotto il cielo di Roma. Un insignificante punto in un infinito spazio cosmico che scinde persino il tempo.
Qui, come dicevo, senza necessariamente dovermi inimicare qualcuno, va compiuta una scelta. Votare il vostro cuore a questa o a quell’altra squadra, pensare al Derby, vivere correndo e scalpitando, diventano priorità. Le partite, i rientri, i ritiri, le andate e i ritorni. Elementi di un routine fatta di biglietti e abbonamenti. Curve che si scontrano, bandiere che vengono rubate giusto per poter sancire la propria supremazia in un gioco che ha regole tutte sue.
Molti dicono che ci si nasca con una fede calcistica, infatti è frequente che i genitori trasmettano anche questo aspetto ai figli. Io non sono del tutto d’accordo. Le persone del sud questo aspetto potranno anche capirlo meglio. Per quanto in passato io abbia urlato e cantato, specie a Carnevale (ma questa è un’altra storia), di aver tifato per il Barbera, le mie simpatie sono sempre state molto alternanti. Cresciuta un po’ da juventina, con un nonno interista, arrivare nella Capitale ha innescato diverse dinamiche.
La fede la puoi scegliere, solo solo perché ti affascinano le sue dinamiche. Lo puoi fare secondo i suoi rituali, secondo la tua appartenenza, perché in un certo senso ti si incolla addosso. Mentre, quindi, percorriamo le vie di Roma diviene facile sposare i colori giallo-rossi. Una parte di me si motiva questa cosa ricordando a me stessa che sono gli stessi colori della trinacria, ma in realtà le chiacchiere stanno a zero. Come si può restare indifferenti davanti a cori, tifi, video e persone? Come si può non decidere di prender parte a quei rituali quando ti fai mezza città a piedi solo per poter far compagnia a chi sta cantando bloccando il traffico?
Non si può, facile. Ed ecco quindi che i meccanismi ci si incollano addosso. Ecco che la fascinazione di un pallone assume tutt’altro significato. Del resto, situazioni analoghe accadono anche ai concerti. Quel preciso istante in cui sei stata costretta ad accompagnare una tua amica e alla fine una o due canzoni iniziano ad entrare nella tua playlist. Inizi a canticchiarle e a connotarle di un valore tutto tuo, personale, e prima ancora che tu te ne possa accorgere sei parte del sistema.
Ecco allora che lo stadio diventa un modo per poter manifestare quello stato d’animo. Tutta la voglia di urlare e di cantare prende piede. Tutto il tuo corpo è attraversato dalla voglia di tornare e ritornare, come quella dose che crea dipendenza. Quindi, eccoti, nuovamente in fila con un uomino digitale che cammina al posto tuo. Li, davanti a uno schermo nella speranza che quel posto, proprio quello per cui spenderesti mezzo stipendio, sia il tuo.
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