Turisti nella Capitale: In attesa di Ognissanti
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Senza che ce ne rendiamo conto, durante il periodo dell’estate, la nostra Capitale si svuota e si riempie. Quasi come se seguisse il principio dei vasi comunicanti e le persone che percorrono le sue strade fossero semplicemente delle gocce d’acqua. Gli studenti, quelli che hanno cantato finora al di fuori delle università, se ne tornano nelle loro dimore natie. I turisti si accalcano in file davanti alle gelaterie e ai negozi del centro. La fontana di Trevi continua a riempirsi di monetine e di desideri. La bocca della verità viene oltraggiata dai sorrisi di scherno e divertimento. Il giardino degli aranci viene fotografato e San Pietro viene presa d’assalto. Il marmo della Pietà di Michelangelo diviene ristoro dal caldo, le tombe dei Papi si rafforzano grazie alla preghiera di fedeli occasionali. Essere turisti nella capitale, mentre tutto si svuota e si riempie, vuol dire imparare a sopravvivere.
I romani che non se ne vanno in vacanza, quelli che non vanno in qualche casa in Abruzzo o in giro per l’Italia. Quelli che non saranno turisti di altre mete, ma che vivranno l’affanno e il calore della Capitale, sono praticamente degli eroi. Il caldo è afoso, denso dei fumi di scarico delle auto e degli autobus. L’umidità del Tevere si innalza lungo le variegate vie e si appiccica sulla pelle. Inutile è il tentativo di trovare ristoro serale al cinema all’aperto o insieme a tutte le iniziative che il comune cerca di organizzare. L’unica cosa che si può tentare è quella di prendere la propri auto, o il trenino per Ostia-Lido, e recarsi al mare. Che sia Fregene, che sia Ostia, che sia persino Coccia di Morto, tutto diviene luogo quasi necessario per poter sopravvivere.
Chiunque pensi che Roma non abbia il mare, beh si sbaglia. Non avete neanche idea delle volte in cui mi sia ritrovata a dibattere su tale argomento. Come se fosse la disputa più necessaria nella nostra quotidianità, ma mi ha da sempre fatto molto sorridere. Le zone di balneazione, più o meno libere, riescono ad accogliere tutta la romanità alla ricerca di ristoro. Le spiagge si suddividono evidenziando quella parvenza, immorale e innecessaria, di lotta classista. Una divisione che non esiste, se non concettualmente. La borghesia si affanna sui litorali mentre i più ambienti scelgono verso che metà spostarsi, così da poter lasciare la famiglia con la porchetta al seguito consumare la propria grattachecca.
L’estate romana non è facile da gestire, servono quasi delle skills native che sono quasi impossibili da rubare e far proprie. La romanità si svuota e cede il passo alla movida, il cuore pulsante degli “AO” e dei “DAJE” si esaurisce lasciando a quei poveri malcapitati lavoratori stagionali il macro compito di far riempire i ristoranti e i locali. Gli incendi di sprecano, mentre si cerca di capirne il dolo. Tutto va a fuoco, esattamente come Ostia e la sua voglia di fare un giro sul giradischi muniti di tacchi. Si è, però, pronti a godere delle brillanti stelle del firmamento ricordandosi che: quel che accade d’estate, arrivato settembre, poi non vale.
Questo lento riempirsi e svuotarsi è quasi affascinante. Non si incontrano mai le stesse facce, ma allo stesso tempo si gode della reciproca compagnia. Si sfugge al caldo, nonostante abbia la capacità di inseguirti come il nemico di un film horror. L’umidità del Tevere ti si incolla addosso, esattamente come i brividi che si possono provare mentre si resta sull’Isola Tiberina. I cocktail consumati danno alla testa, come se fosse possibile riempire quei vuoto quasi malinconico; un retrogusto che difficilmente si scolla dalle proprie labbra quando si pensa al termine di tutto ciò.
Si impara a sopravvivere sul trenino Ostia-Lido, lo si fa sui pullman pieni che ti portano sul litorale. Diviene necessario per far si che la rabbia non governi le nostre emozioni mentre si cerca parcheggio. Il caldo da alla testa e Roma diviene invivibile.
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