Turisti nella Capitale: il cuore dei gattari
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Ci siamo sentiti piccoli e insignificanti davanti al Colosso romano, ma sapete cosa mi ha sempre fatto riflettere? Il fatto che sulla sua sinistra si allunghi quella che è stata soprannominata “la gay street”, o almeno io l’ho sempre conosciuta con questa nomea. Lì, tra i diversi locali arcobaleno, secondo me ha vita la più alta forma di accettazione, quella che segna l’amore per se stessi e che riverbera in maniera del tutto naturale negli altri. Questa volta vi chiederò uno sforzo. Essere turisti nella capitale, in questo caso, richiederà tutta la vostra inclusività. Destreggiamoci, quindi, tra oggettività e soggettività per imparare a cogliere il bello nel brutto.
Dobbiamo, però, lasciarci alle spalle il tentativo di nobilitare questo sentimento. Dobbiamo superare l’accettazione o i colori che caratterizzano quella manciata di metri, per poter riuscire ad arrivare in altre zone della Capitale. Non vi faccio fare lo stesso esatto percorso che quest’anno ha fatto il Pride, ma vi faccio deviare direttamente in direzione Manzoni-Vittorio Emanuele. Questa tappa è legata al mio primo anno di università ed è quasi stata un battesimo di fuoco. I miei colleghi, sicuramente, ricorderanno il profumo di kebab, di cipolla e di spezie, alle otto del mattino che caratterizzava questa location. Un agro-dolce aroma in grado di funzionare come un’energizzante, quasi come uno schiaffo per capire se si è risolti dal mondo dell’oltretomba o meno. Il mercato dell’esquilino, il cui piano terra accoglie vestiti di ogni tipo, insieme a cibo dalla dubbi provenienza, è l’oggetto della nostra esplorazione.
Siamo su via Principe Amedeo tra bar più o meno storici e il tentativo di riqualificare l’intera aria da parte dell’amministrazione comunale. Devo ammettere che, nel giro di pochi anni, il suo aspetto è profondamente mutato. L’unica cosa rimasta indelebile, forse perché impregna ormai anche i muri dei palazzi, è il suo odore caratteristico. Vi ripeto, immaginatevi dover fare lezione alle nove del mattino e avere gli olezzi della preparazione di pranzi e cene che verranno da lì a poche ore consumati.
Rimane, quindi, inutile il tentativo di inserire negozi high brand o meno, quando tutto quello che urla questo quartiere è: inclusività estera. Sono, in un certo senso, quelle facce della medaglia che interessano e allettano. Un’inclusività tipica della romanità antica, ma che non del tutto si riflette nella popolazione moderna. In ogni caso, continuando il nostro pellegrinare, è quasi impossibile non sentire al voce di Romina Falconi che canta “Io ti includo”. Un brano che, con sadica ilarità romana, riesce a narrare l’esigenza di un cambiamento.
Il piano di sopra della struttura del mercato era quello dedicato alle lezioni. Anche in questo caso il passaggio dei miei anni in questa città è stato marchiato da un cambio gestionale. Mi sono sempre chiesta come mai fosse diventato quasi il terreno fertile per il Risiko che concettualmente giocano le università romane. Forse è la vicinanza con la stazione di Termini a renderlo tanto appetibile, resta di fatto che l’esperienza personale mi fa ancora riflettere sulla ricerca di un luogo in cui poter consumare il mio pranzo. Le pause, infatti, passavano così: una chiacchierata, un caffè, un panino scaldato dalla piastra del solito bar – tanto da possedere la tessera che conteggiava le consumazioni –, oppure una passeggiata per potersi allungare verso piazza Vittorio.
Nel cuore dell’esquilino, vi è questo luogo in grado di bloccare il passaggio delle ore. Le riqualifiche gli hanno fatto assumere un aspetto più curato, meno vittima delle incurie, più pettinato. Tra i suoi rovinosi resti e le panchine, godere dell’ombra è estremamente comodo. Non siamo troppo lontani da una delle porte che il Papa apre in occasione dei Giubilei, ne possiamo scorgere alcuni tratti allungando lo sguardo lungo la via. Per molti è addirittura un luogo esoterico, quello che permetterebbe l’ingresso verso le biblioteche in cui sono contenuti i Vangeli Apocrifi. Non so quanto sia leggenda o verità, ma forse è proprio in questo dubbio che si suggella la meraviglia di questo posto.
Seduti sulle panchine, in ogni caso, potreste essere colti da un momento di riflessione più o meno personale e più o meno condivisa. Penso che proprio in quella piazza io abbia avuto le conversazione più profonde e giocose di tutta la mia vita. Da una domanda, da una richiesta, da un gioco, il tutto nato in maniera naturale mentre tra le mani si consuma il menù del giorno. In ogni caso, reclinate la testa all’indietro, chiudete gli occhi, respirate affondo e fatevi tirare in mezzo alle conversazioni che nasceranno. Osservate i vostri amici, le pose che hanno assunto, quanto più o meno sembrino seduti su un tappeto di chiodi mentre vengono messi in difficoltà dalle domande a cui non vuol rispondere.
Resta una costante, che ci piaccia o meno, c’è ancora molto lavoro da fare in questa zona. Pensare, infatti, che sia così centrale, ma allo stesso tempo abbandonata a sé stessa, fa quasi male al cuore. Strutture su strutture sono chiuse, vi basterà uscire dai cancelli della piazza per rendervene conto. Vi basterà andare verso via Merulana, per osservare il fascino della fatiscenza. Chi può, però, sapere che aspetto avrà questa zona tra qui a qualche mese? Non possiamo neanche fare effettive supposizioni, perché il tutto cambia rapidamente.
In questo caso, siamo stati poco turisti e molto più cittadini di questo luogo. Infatti, esattamente come l’odore di kebab e curry alla mattina, qui subiamo una piccola battuta di arresto. Essere turisti in questa immensa cacofonica città vuol dire anche riconsiderare e riassaporare il brutto, per poterne cogliere nuove caratteristiche. Il bello piace a tutti, l’arte e l’amore sono sentimenti che riempiono l’anima. Connotare, però, il brutto con sentimenti, sensazioni e ricordi, lo fa evolvere. Se, quindi, la bellezza può corrispondere a canoni più o meno oggettivi; la bruttezza assume tratti talmente tanto personali da sconquassare il nostro animo, quando la osserviamo. Depotenziare, analizzare, caratterizzare il tutto con “altro” ci permette di poter raggiungere quell’umami karmico che altrimenti non saremmo in grado di cogliere.
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