Turisti nella Capitale: il cuore dei gattari
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Molto spesso, quando si vive in una città enorme come quella di Roma, è più facile rintanarsi nella propria comfort zone. Ho avuto modo di conoscere e di parlare con diverse persone nel corso della mia permanenza nella Capitale e ciò mi ha permesso di capire quanto non basti una vita intera per poter scoprire le meraviglie che si celano al suo interno. La vita dell’uomo, indipendentemente da dove si trova, diventa un’esistenza di quartiere. Ogni municipio diventa una realtà a se stante e si connota dei suoi precari equilibri. Essere Turisti nella Capitale vuol dire esplorare nefandezze e meraviglie districandosi in questo bilanciamento. Si deve provare a farlo proprio.
Il quartiere che avevamo provato ad esplorare, con la scorsa tappa, ha ancora dei segreti da dover svelare, ma li teniamo in serbo per una futura visita mentre ci spostiamo verso la Suburra. Storicamente, da qui anche l’ispirazione per la serie sulla malavita romana, nelle vie piene di negozi e di pub aveva luogo la dissolutezza. Ancora una volta, infatti, siamo davanti all’ipocrisia che macchia e contraddistingue il sacro dal profano. A separare questi due aspetti vi è via Cavour: se si va a destra, si salgono le scale verso la sacralità di una delle chiese scevra di turisti; se si va a sinistra, si scende verso la dissolutezza della movida.
Da una parte, dunque, “San Pietro e Vincoli” con la tomba di Giulio II e la famosa statua di Mosè che ancora non emette un suono. Dall’altra, Rione Monti in tutta la sua più nefanda voglia di privarvi della vostra virtù. Andando verso la luce, specie nelle ore in cui il sole sta lasciando il posto alle tenebre, vi renderete conto di quanto il genio dell’uomo possa essere in grado di analizzare e prevedere. I raggi penetrano dalla finestra e rendono magico il marmo che suggella la tomba del papa.
Qui si ricalibra la potenza e l’importanza dei Mecenate che sostenevano gli artisti. Qui si suggella la potenza, ancora non del tutto espressa della cristianità, mentre si osserva quello che per molti è stato persino considerato un autoritratto dello stesso Michelangelo. Lui che nel marmo scolpiva e fissava la vita con tutte le sue emozioni e il suo tormento. Lui che perennemente insoddisfatto venne tradito dalla frase che tutti ricordano, mentre il Vasari ammise che sembrava esser fatta col pennello e non con lo scalpello.
Sette statue che conservano e osservano l’eterno riposo. Il loro sguardo rivolto in differenti direzioni, grazie alla luce che entra dalla finestrella posta strategicamente in alto, prendono quasi vita comunicando le intensioni delle spoglie a cui fanno la guardia. Sotto l’altare della chiesa, però, vi sono anche le catene che hanno legato i polsi di San Pietro prima della sua esecuzione. Un reliquiario che ci permette di respirare quella linea sottilissima tra la vita e la morte.
Una volta usciti da questa chiesa, consci di una nuova realtà e di nuove percezioni, potete nuovamente far cedere il vostro cuore inseguendo il peccato. Riscendere quella scalinata e addentrarsi per la Suburra, ai giorni nostri, non deve sicuramente avere lo stesso sapore suggellato un tempo. Il sottoproletariato abitava quelle mura, lo popolava con la sua miseria e i suoi vizi. Era il quartiere a luci rosse del passato, mentre adesso racchiude in sé la fulgida possibilità di far nascere nuovi amori tra un aperitivo e l’altro. Nonostante i suoi monumenti, nonostante la sua bellezza, erano altre le condizioni di vita che lo hanno popolato nel passato. Fa quasi sorridere pensare a quanto possa costare, ad oggi, l’affitto di un posto letto in questa zona o quanto costi la stanza di un hotel. Si è al centro della città, ma contemporaneamente si assaggia tutta la sua cruda realtà.
Ricordo ancora il giorno in cui per la prima volta visitai la piazza all’uscita della fermata della metro. Mi fermai solo per pochi istanti perché compresi quando quello non fosse il luogo che in realtà dovevo raggiungere. Appena diciottenne mi ritrovai completamente straniata e stranita davanti a ragazzi che sembravano decisamente più grandi di me. Sovviene ancora la disagevole sensazione della pelle d’oca, ricordo ancora l’errore e l’orrore per quello che adesso è un luogo quotidiano e familiare. Tra negozi vintage e ristoranti, circa undici anni dopo, mi ritrovo a far parte di questo strano substrato umano. Mi ritrovo a far parte di quelle, all’ora, disagevoli risate.
Il nostro percorso, però, ci impone di proseguire tra le salite e le discese fatte di sanpietrini e buche. In questo modo, una volta tagliata trasversalmente qualche vicolo, si può arrivare su via Nazionale. Continuando, in questo imperterrito moto, a masticare i chilometri si passerò per il Teatro dell’Opera. Si potrà persino allungare lo sguardo verso Piazza della Repubblica e si potrà salire lungo Via delle Quattro Fontane. Tornando, rapidamente, su Piazza Barberini.
Guardando verso il basso, lungo Via del Tritone, vi ricorderete lo zizzagare con cui abbiamo attraversato via del Corso. In realtà, l’imposizione è quella di salire vero l’alto. Non pensate che io vi voglia male se adesso vi costringo a salire lungo via Vittorio Veneto, qui vi sono altri aneddoti da dover rivangare.
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