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Un progetto speciale per Davide Stirpe, vice-campione italiano 2020 Supersport


Davide Stirpe, classe ’92, pilota motociclistico romano, Campione italiano 2017 e vice-campione italiano 2020 Supersport: l’abbiamo intervistato per voi! 

Chi è Davide Stirpe? Raccontaci di te

«Sono nato a Roma, nel Policlinico Casilino, e da bambino ho iniziato, per gioco, a correre in moto. Cominciai ad avvicinarmi a questa disciplina, dopo aver visto una gara di mini-moto. Da lì è partita la mia passione: era come andare di domenica al parco. Mio padre è sempre stato appassionato di corse motociclistiche, quindi credo di aver ereditato da lui, nonostante i miei facciano lavori completamente diversi»

Da bambino correvi con le mini-moto?

«Si, fino a 12-13 anni. Poi sono passato alle intermediarie mini GP, che sono una via di mezzo tra le mini-moto e le moto grandi. Verso i 14 anni, l’età minima per correre in pista con una moto di portata maggiore, sono passato alle moto grandi: prima con le 125 e poi col 600»

 

Sappiamo che stai organizzando, per questa pandemia, una sorta di asta di beneficenza, il cui ricavato andrà al Bambino Gesù, puoi parlarcene?

«Certo. Di solito il campionato parte a marzo, purtroppo quest’anno, causa pandemia, tutto è stato bloccato e rimandato. In una situazione del genere, ho pensato di poter dare una mano anch’io, nel mio piccolo. Così, insieme all’azienda HJC che mi fa da sponsor per i caschi, e il mio grafico Vittiglio, abbiamo progettato un casco: l’idea era quella di metterlo in beneficenza a fine anno. Abbiamo preso la mia solita grafica, aggiunto una mascherina aerografata sulla mentoniera e l’ho usato nella mia prima gara al Mugello. Sono arrivato secondo e terzo e anche i trofei saranno messi in beneficenza insieme al casco. Inizialmente, eravamo indirizzati sull’ospedale Spallanzani, poi siamo venuti a conoscenza di una campagna della Fondazione Bambino Gesù, Abbraccia la Ricerca, a sostegno della ricerca scientifica dell’Ospedale Pediatrico correlata alle possibili conseguenze del Covid nei neonati e nei bambini, e abbiamo deciso di destinare l’intero ricavato, della vendita del casco e dei trofei, a loro»

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Parlando di questo periodo, di questa particolare emergenza, di cosa hai risentito di più?

«Io personalmente mi sono fermato i primi 20 giorni di lockdown nazionale, ovviamente continuando ad allenarmi a casa. Tramite la federazione, poi, come atleta di interesse nazionale, ho potuto ricominciare ad allenarmi in pista, in alcuni impianti omologati. Era tutto più ristretto e difficile, però non ne ho risentito troppo, almeno professionalmente. Il campionato come tutti sanno è ricominciato più tardi, a luglio, e le gare sono state 8 anzi che 12, ma tutto sommato non ha inficiato troppo»

Come è andato il campionato?

«È stato un bel anno. Ci siamo classificati secondi, vincendo la classifica come team. Io di mio, nel 2017 ho vinto l’italiano, nel 2018 e nel 2019 ho chiuso al terzo posto e quest’anno, come dicevo, secondo. Quando stai lì ovviamente vuoi sempre vincere, ma ho dato tutto e mi sento soddisfatto lo stesso»

Hai altre passioni, oltre la moto?

«Correre in moto, a certi livelli, diventa molto impegnativo, quindi non ho tanto tempo da dedicare ad altro, ma sono un appassionato di sport, in generale: spesso gioco a tennis, d’inverno mi piace sciare. Devo essere onesto, però: la moto resta la mia più grande passione»

Una cosa che si sente dire poco è che andare in moto sia a tutti gli effetti una disciplina sportiva. C’è sicuramente tanta preparazione, anche fisica, dietro, non è vero?

«Assolutamente. Per girare ad alti livelli, devi allenarti tutti i giorni; devi essere un atleta, a tutti gli effetti. Le gare sono sempre più lunghe, più tirate, più fisiche e la costanza sportiva fa sempre di più la differenza. Come in tutti gli sport, si sta alzando sempre di più il livello. Non sta diventando estrema solo la tecnica: c’è tutta una preparazione dietro, che comprende anche l’alimentazione e lo stile di vita. Dentro e fuori dalle gare, anche nel periodo invernale, io non sto fermo quasi mai»

Quanto conta l’amore per ciò che fai e quanto la costanza?

«Contano tanto entrambe, perché è uno sport che, anche fatto ad alti livelli, non può mai considerarsi un lavoro vero e proprio. Sotto il punto di vista economico, per esempio, è il pilota a trovare i suoi sponsor e a portare soldi alle squadre per correre. Qui la passione è fondamentale, perché è quella che ti tiene alta la motivazione. In più, svolge un ruolo importante la costanza, perché non puoi ricordarti di correre la settimana della gara! Tutto va programmato prima, anche nelle fasi invernali, quando si fanno i test con la squadra»

C’è qualche pilota che, prima di te, ti ha ispirato?

«Non ce n’è uno in particolare, quando ero piccolo io era un po’ un mondo nuovo ancora per me, non era come il calcio. Poi, quando mi sono appassionato, ho sempre tifato per Biaggi, anche lui romano. Però ecco, anche il tifo per Biaggi, è nato dopo l’iniziale passione per la due ruote»

Qualche luogo di Roma che ti piace particolarmente?

«Sicuramente il Colosseo è la zona che più mi affascina, perché quando ci passi è sempre come fosse la prima volta. Anche quando vado fuori, parlo del Colosseo, perché è il monumento più bello e quello che emotivamente trasmette di più»

Hai un rito scaramantico che usi prima di una gara o un oggetto porta fortuna che porti con te?

«No. Però mi rendo conto che, sono anni che eseguo, sempre nello stesso modo, le stesse cose in preparazione. Un po’ come fosse la mia routine»

Ma un pilota di moto come si sposta nella quotidianità? Dentro Roma porti la moto o la macchina?

«Principalmente guido la macchina, non ho moto da strada. Pensa che, la patente per la moto l’ho presa due anni fa! »

Cosa consiglieresti ai giovani che si affacciano al mondo delle corse motociclistiche?

«Il consiglio è quello di divertirsi ma, allo stesso tempo, essere coscienti che è dura: servono lavoro, costanza e sacrifici. È un mondo che da’ tantissime emozioni e soddisfazioni, ma servono testa e lavoro»

C’è un detto romano che apprezzi particolarmente?

«Il daje sta bene su tutto, sempre! Uno o due anni fa avevo intenzione di metterlo pure sul casco, per una gara su Roma. Poi non l’ho fatto»

Ti senti tanto legato a Roma?

«Si, è la mia città, ma ho imparato a non esserlo troppo, perché sono abituato a viaggiare tanto, per le gare. Quando sto fuori per lunghi periodi, però, e torno, appena entro dentro al Raccordome sento a casa“, un pò come quando entri in camera e vedi il tuo letto!»