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Come ti chiami? Una domanda semplice, quasi banale per noi che abbiamo solo nome e cognome; due parole, massimo tre e ce la spicciamo, provatelo a dire agli antichi romani e soprattutto a Quinto Pompeo Senecio!
Abbiamo già visto in un altro articolo come veniva formato il nome nell’antica Roma, una combinazione tra, in ordine sparso, nomen, praenomen, cognomen, agnomen, domo, nome del padre e del nonno (non stiamo scherzando!). Soprattutto per le persone nobili, patrizie, il nome era una vera e propria carta d’identità, che poteva far risalire ai propri antenati e quindi alla propria discendenza. Si tracciava praticamente un albero genealogico per far capire a primo impatto (se fa’ pe’ dì, visto la lunghezza de certi nomi), da quale gens e da quale ramo si discendesse. Nel normale uso comune però i nomi che contavano di più erano 3, i famosi tria nomina: il praenomen, che corrisponde al nostro nome di battesimo, il nomen, che per noi è diventato il cognome e che individuava la gens dalla quale si discendeva e infine il cognomen, che era piuttosto un soprannome e che era quindi legato a un aspetto della persona. Ad esempio Cicerone in realtà si chiamava Marcus Tullius Cicero e quindi Marco era il suo nome vero e proprio, Tullius stava ad indicare che apparteneva alla gens Tullia, mentre Cicero, da cui Cicerone come lo conosciamo noi oggi, era il soprannome datogli a causa di un suo antenato che sul naso aveva molto probabilmente una verruca, che assomigliava a un cece.
Avendo ora rinfrescato come si componeva il nome degli antichi romani passiamo a vedere l’uomo che, ad oggi, detiene il record del nome più lungo in assoluto tra gli antichi abitanti dell’urbe. Trentotto, avete capito bene sì, trentotto nomi solo per una persona, eccoli qui:
Quintus Pompeius Senecio Roscius Murena Coelius Sextus Iulius Frontinus Silius Decianus Gaius Iulius Eurycles Herculaneus Lucius Vibullius Pius Augustanus Alpinus Bellicius Sollers Iulius Aper Ducenius Proculus Rutilianus Rufinius Silius Valens Valerius Niger Claudius Fuscus Saxa Amyntianus Sosius Priscus
Il dubbio che sorge è che questa persona oltre al nome del padre e del nonno avesse inserito anche quelli dello zio, del cugino de primo grado, de secondo e così via. Noi ora per comodità lo chiameremo Quinto, ma chissà come si faceva chiamare lui, probabilmente aveva personalità multiple! E poi, nel momento in cui doveva firmare, che je poteva servì, un rotolo de pergamena a parte?
Per avere un nome così lungo, penserete voi, deve esser stato anche una persona importante che ha fatto sicuramente la storia! E invece no o meglio nì; questo perché sicuramente non ha fatto la storia, dato che non è affatto ricordato (se non per il suo nome); in effetti però era un uomo importante poiché era un politico che fece molta carriera sotto il regno dell’imperatore Marco Aurelio. Quinto dunque era un patrizio, una persona nobile, che durante la sua vita fece carriera e passò dall’essere il prefetto delle Feriae Latine – festa che si svolgeva durante il mese di aprile sul monte Albano per ricordare l’alleanza tra Roma e le città Latina -, ad essere eletto pretore intorno al 167. Le cariche più importanti che raggiunse Quinto nella capitale furono prima quella di console, poi quella di prefetto degli alimenti, che badava alle provviste di tutta Roma e infine proconsole in Asia. Insomma una carriera di tutto rispetto che forse ha rispecchiato e dato lustro a tutti i trentotto nomi che si portava sulle spalle e che sono stati ritrovati in un monumento a Tivoli, nella citta di Villa d’Este e Villa Adriana, a pochi passi ad est di Roma.
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