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Tra le tante città toccate dal grandissimo poeta di Recanati, Roma è stata la prima ad accogliere il giovane Leopardi che a soli 24 anni si trova catapultato da una realtà prettamente di paese a una di grande città come già era la Capitale nel 1822, vediamo come è stato il suo soggiorno romano.
Da sempre, fin dalla caduta dell’impero romano, il mito della Capitale ha conquistato re, nobili, imperatori, papi e qualsiasi altra personalità di potere. Da Carlo Magno a Napoleone, fino ai risorgimentali italiani, Roma era la città simbolo da conquistare e in cui ammirare i grandi fasti insieme alle grandi bellezze del passato e farle rivivere sotto una nuova luce. Così anche per i poeti, la capitale era pur sempre la mitica città dell’impero e poi dei papi, in cui venir incoronati con l’alloro come era successo a Petrarca e a tanti altri scrittori. Leopardi arriva a Roma nel novembre del 1822 e qualche settimana dopo scrive a suo fratello Carlo queste parole:
Domandami se in due settimane da che sono in Roma, io ho mai goduto pure un momento di piacere fuggitivo, di piacere rubato, preveduto o improvviso, esteriore o interiore, turbolento o pacifico, o vestito sotto qualunque forma. Io ti risponderò in buona coscienza e ti giurerò, che da quando io misi piede in questa città, mai una goccia di piacere non è caduta sull’animo mio;
Nessuna gioia, eccetto quella di far visita alla tomba di un altro illustre poeta, Torquato Tasso, con il quale si sentiva molto affine.
Oltre alle malinconie provocate dalla città in sé, Leopardi non riuscì ad apprezzare nemmeno gli intellettuali italiani presenti a Roma, definendoli anche a male parole come vedremo nello stralcio di un’altra sua lettera. Le poche volte che riesce ad instaurare un buon rapporto con studiosi sopraffini come lui è quando si confronta con gli intellettuali stranieri e soprattutto tedeschi:
Ieri fui da Cancellieri, il quale è un coglione, un fiume di ciarle, il più noioso e disperante uomo della terra; parla di cose assurdamente frivole col massimo interesse, di cose somme colla maggior freddezza possibile;
Questa vita romana lo fa entrare quasi in uno stato depressivo:
(…) In somma io sono in braccio di tale e tanta malinconia, che di nuovo non ho altro piacere se non il sonno: e questa malinconia (…) m’abbatte, ed estingue tutte le mie facoltà in modo ch’io non sono più buono da niente (…).
Neanche il rapporto con le donne sembra far cambiare parere e opinione sulla città al poeta di Recanati, che trova in loro un’indifferenza e una frivolezza, forse esagerando anche un po’. che non aveva mai conosciuto nel suo “natìo borgo selvaggio” delle Marche.
Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi. Io ho fatto e fo molti giri per Roma in compagnia di giovani molto belli e ben vestiti. Sono passato spesse volte, con loro, vicinissimo a donne giovani; le quali non hanno mai alzato gli occhi; e si vedeva manifestamente che ciò non era per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e noncuranza: e tutte le donne che qui s’incontrano sono così. È così difficile il fermare una donna in Roma come in Recanati, anzi molto di più, a cagion dell’eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femmine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d’ipocrisia, non amano altro che il girare e il divertirsi non si sa come.
Se sa, quanno le aspettative so’ alte, è più facile rimané delusi; però caro Giacomino, a noi romani sicuramente è dispiaciuto che tu non ti sia trovato bene nella Capitale, anche nel tuo secondo viaggio che hai addirittura definito “un esilio”. Probabilmente hai trovato le persone sbagliate con cui vivere Roma perché anche oggi, che la Capitale non è che sia trattata con guanti bianchi, basta un tramonto sul Tevere, uno sguardo ar Cuppolone, una passeggiata tra i Fori e l’anima tua, te l’assicuramo noi, guarisce da tutta quella malinconia che t’era venuta!
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