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Il sampietrino, simbolo e immagine di Roma, perché si chiama così?


Simbolo, icona, storia di una città come Roma e non solo. Ecco cosa sono i sampietrini, la pietra nera, che va a comporre il pavimento delle strade del centro della Capitale. In tanti hanno provato a sostituirli, ma loro restano una parte fondamentale dell’identità della città di Roma.

Il Sampietrino

A volte si rialzano, a volte scompaiono creando delle piccole buchette, l’acqua ci si può infiltrare sotto e quando li pesti ti schizzano sulle scarpe, alle donne che osano, mangiano tanti tacchi, che rimangono incastrati tra le fessure di un blocchetto di pietra e l’altro. Il sampietrino, anche detto simpaticamente er sercio, a Roma, è un tassello fondamentale della Capitale. Impossibile immaginare via dei Fori Imperiali, Piazza Navona o Piazza del Popolo, senza la pietra nera che tanto rumore fa fare alle macchine e ai motorini. Come immaginare le foto di Roma con del banale asfalto al posto dei sampietrini?

Perché si chiamano così? E quando sono stati inventati?

Non si sa il nome di chi ha inventato la pavimentazione che poi ebbe così tanto successo da lastricarci tutta Roma, in ogni modo chi li usò per la prima volta fu Papa Sisto V, nel 1585. Questa particolare pavimentazione è molto semplice da posare, infatti non ha bisogno del cemento, ma solo di uno strato di sabbia su cui incastrarli e innestarli. Questo selciato ebbe molto successo all’epoca perché permetteva ai carri di scorrere meglio sulle strade di Roma; allo stesso tempo proprio perché non erano fissati a terra, erano facili da tirare fuori dalla strada e diventare gli attori principali di risse e rivolte nella Roma papalina. Il suo nome lo devono al fatto di aver tappezzato all’inizio del 1700 anche piazza San Pietro, che poco tempo prima per le sue irregolarità era stato teatro di uno sfiorato ribaltamento della carrozza del papa. Il Settecento fu anche l’epoca in cui grazie a papa Clemente XII questo tipo di selciato si diffuse in tutta la Capitale.

Il sampietrino oggi

Fino all’inizio del Novecento Roma era principalmente lastricata di sampietrini, ma l’iconica pavimentazione della Capitale, fatta di questi cubi di pietra di origine lavica, non si adatta benissimo alle macchine e alle vetture moderne; uno dei loro problemi infatti è la scivolosità quando questi sono bagnati e inoltre, con le alte velocità, tendono ad essere molto rumorosi. In alcune strade principali di Roma infatti purtroppo sono stati sostituiti da distese d’asfalto; un grido però arriva dagli abitanti di Roma, dove si può, si deve mantenere questa pavimentazione, come nei Rioni Storici di Trastevere o nei principali luoghi dove transitano poche auto.

La poesia di Stefano Agostino al Sampietrino

Sei ‘n cubo, si scavato, sei massiccio,
sei ‘n sercio quadro, intento a fa’ la fila,
co’ l’artri appiccicato, in diecimila,
come in un “pazzol”, pe’ copri’ er tèriccio.

Accatastato sopra a quela pila,
t’hanno appoggiato lì, chè davi ‘mpiccio,
chissà a chi je s’è sciorto quer capriccio,
e aspetti che quarcuno t’arinfila.

Come si fosse solo che n’inezzia,
te vònno toje, pe’ cola’ l’asfarto
e rifa’ er fònno de Piazza Venezzia.

Ma, dico io, st’idee de chi so’ parto?
‘nvece d’enventasse sta facezzia,
perché nun va via lui, pezzo de scarto?

 

Stefano Agostino