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Tra le più caratteristiche della Capitale, la fontana delle api oggi è visibile solo attraverso una copia del secolo scorso che riprende quasi fedelmente il monumento eretto da Gian Lorenzo Bernini a metà del Seicento
All’angolo che unisce piazza Barberini e via Veneto si trova la fontana delle Api, realizzata nel 1644 da Gian Lorenzo Bernini. Di piccole dimensioni e con lo scopo di fungere da abbeveratoio di cavalli, fu commissionata da papa Urbano VIII pochi mesi dopo la costruzione della fontana del Tritone, con cui condivide la canalizzazione delle acque, motivo per cui il flusso è limitato e il noto artista del Barocco non ha potuto dare vita a una struttura monumentale come ci ha più volte abituati.
L’animale da cui prende il nome è stato scelto per diversi motivi, a partire dal fatto che è il simbolo araldico della famiglia del pontefice. Le api rappresentano anche purezza e lo sgorgare dell’acqua richiama il loro ronzio, dando vita al suono per l’elemento. Un’altra chiave di lettura, inoltre, ci è offerta dal Trattato dell’Amore di Dio di San Francesco di Sales, edito nel 1616, dove le api vengono paragonate alle anime durante il loro soggiorno terrestre.
All’inizio la fontana era stata collocata all’angolo di palazzo Soderini, per poi essere scomposta e posta nel deposito comunale del Testaccio per motivi di intralcio alla viabilità dal 1880 al 1915, anno in cui fu decido di realizzarne una copia, opera di Apolloni, che al posto dell’originario marmo lunense impiegò il travertino, proveniente dalla demolita porta Salaria. Assume l’insolita forma di conchiglia aperta con un catino rotondo dove è raccolta l’acqua che sgorga da tre zampilli collocati sotto altrettanti api, scolpite sopra la cerniera di raccordo tra la valva superiore, collocata in posizione isolata, e quella inferiore, rialzata su una cornice di massi.
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