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Ufo eventi paranormali o segnali degli Dei? La fantascienza nell’antica Roma

foto di: Immagini prese dal web

E voi che ve credete, che gli UFO o gli eventi paranormali so’ ‘n’invenzione nostra? Che prima degli anni ’50-’60 nessuno avesse mai visto ‘n’UFO? Ma fateme er piacere! Anche i romani li vedevano e soprattutto ne scrivevano, vediamo come!

Antichità classica, epoca di avvistamenti

Peccheremmo di superbia se pensassimo che gli UFO siano una cosa contemporanea e relativa solo al nostro tempo. È vero che molti fenomeni che gli antichi non riuscivano a spiegarsi, oggi sono banalmente descritti come fenomeni fisici consueti, che magari destano ancora stupore e meraviglia (come può essere l’aurora boreale), ma che ormai sono usciti dalla sfera del sacro e del divino per entrare a far parte di quella della scienza. In alcuni geroglifici egiziani però, qualche mistero ancora si nasconde, riguardo ad oggetti non identificati ritratti dall’antico popolo che abitava sulle sponde del Nilo. Altri invece sono proprio raccontati ampiamente nella letteratura greca e latina. Uno dei primi avvistamenti, riportato da Diodoro Siculo, è quello del generale Timoleone che mentre navigava con la sua flotta vide nel cielo una torcia che lo guidò fino alle sponde della Sicilia. Un altro avvenimento riportato sia da fonti romane che da alcune straniere fu quello della grande giara di colore argenteo, che cadde sul campo di battaglia prima dello scontro tra l’esercito romano guidato da Lucio Licinio Lucullo e Mitridate VI Re del Ponto:

«tutto a un tratto – riporta Plutarco -, il cielo arse in molti punti, e un enorme corpo simile a una fiamma fu visto cadere tra i due eserciti. La forma, era simile a una giara per il vino, e nel colore, era come argento fuso.»

Il racconto di Tito Livio e quelle strane apparizioni nel cielo

Una serie di fenomeni che va oltre il normale invece si scatenò alla vigilia della discesa in Italia di Annibale, uno dei peggiori nemici dei romani, che fece tremare fortemente le salde fondamenta della Repubblica Capitolina. Tito Livio mentre descrive lo sbando della classe dirigente romana, riporta anche come la popolazione sia protagonista di eventi paranormali come:

“[…] in Sicilia ad alcuni soldati si erano infiammate le punte dei dardi; in Sardegna poi a un cavaliere di ronda sulle mura s’era acceso il bastone ch’egli aveva in mano; e in riva al mare erano divampati fuochi; […] e ad Arpi s’eran vedute targhe nel cielo e s’era veduto il sole combattere con la luna; e a Capena erano apparse in pieno giorno due lune; e a Cere erano sgorgate acque miste di sangue, e anche la fontana di Ercole aveva mandato fuori getti cosparsi di macchie sanguigne; […] e a Faleria s’era visto fendersi il cielo con un vasto squarcio, e da questo era balenata un’immensa luce; le sorti si erano assottigliate, e ne era una con l’inscrizione “Marte squassa la sua asta”; […] capre che ad alcuni divennero lanute, una gallina diventata gallo, un gallo diventato gallina.

Insomma una situazione veramente preoccupante, che oltre a fenomeni ufologici nei cieli, vedeva anche eventi straordinariamente paurosi, i quali costrinsero i romani a offrire molti doni agli dei per ingraziarseli di nuovo e vincere contro Annibale.

L’ancile, lo scudo di Marte piovuto dal cielo

Uno dei più famosi di questi episodi fu la caduta dal cielo dello scudo di Marte, chiamato anche ancile. Questo manufatto, era piovuto direttamente dal cielo ai piedi del secondo re di Roma, Numa Pompilio, nell’ottavo anno del suo regno. In quel momento Roma era afflitta da una grande epidemia di peste e Marte, secondo l’interpretazione del re che era anche un grande esperto religioso, aveva inviato questo segno come simbolo di eterna salvezza e invincibilità di Roma. La ninfa Egeria aveva subito confidato al monarca che chi fosse entrato in possesso dello scudo avrebbe detenuto un grande potere, così Numa Pompilio, saggiamente fece costruire al fabbro Mamurio Veturio, altre 11 copie identiche dello stesso scudo bronzeo. Da quel momento nacque anche l’ordine sacerdotale dei Salii, che dovevano custodire e portare in processione alle idi di marzo, questi scudi, in segno di riapertura della stagione delle guerre.