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Guerra, uno dei primi assedi di Roma; i romani erano passati per la prima volta da sudditi a cittadini, dopo aver cacciato l’ultimo Re, Tarquinio il Superbo, che ora con la forza cercava di riprendersi la città, ma il sacrificio di Gaio Muzio Scevola fece cambiare il corso della storia.
«Sono romano e il mio nome è Gaio Muzio». Potrebbe sembrare una frase uscita dalla bocca di Sean Connery in uno dei suoi tanti film; potrebbe sembrare effettivamente una frase alla James Bond, in una delle pellicole che hanno immortalato questo personaggio del cinema per l’eternità; invece è Tito Livio, nel suo massimo capolavoro storiografico Ab Urbe Condita ovvero Dalla fondazione di Roma, che introduce il leggendario personaggio della storia romana Gaio Muzio Scevola. Questo eroe, simbolo di coraggio e audacia è infatti il protagonista di una delle prime guerre combattute dalla Roma repubblicana proprio contro il suo ultimo Re, cacciato dai cittadini e che ora cercava di riprendersi l’Urbe con la forza. Dopo un lungo assedio infatti il nobile romano, nun je la faceva a vedé Roma sua, ingabbiata da quattro etruschi comannati da Porsenna e allora, visto che la situazione non si sbloccava da buon romano ebbe un’idea. Andò in Senato e chiese l’autorizzazione per infiltrarsi nell’accampamento nemico e uccidere il capo delle truppe etrusche, così da mettere fine alle razzie e all’assedio che l’esercito nemico perpetrava da tempo fuori le mura di Roma. Ai politici romani piacque l’iniziativa e lasciarono carta bianca a Scevola che subito si diresse verso le mura.
Si dice che Scevola fu aiutato nel suo intrufolamento nel campo nemico perché di origine etrusca e quindi conoscendo lingua e costumi sapeva come confondersi bene tra la folla dei soldati. Così, entrato senza dare nell’occhio si appostò e si accorse di essere arrivato nel campo in un momento di calma, proprio mentre Porsenna distribuiva la paga ai soldati. Nascostosi per bene, aspettò il momento adatto dopo di che trafisse e uccise un uomo di spalle, che lui credeva essere il comandante etrusco. Subito dopo il panico si diffuse tra i soldati e catturato, Scevola, si accorse di aver accoltellato la persona sbagliata. Oramai era troppo tardi per fuggire e anche un po’ da vigliacchi, così Porsenna, diventato nel frattempo furibondo, cominciò a chiedere spiegazioni al nobile romano, che rispose così:
«Attento! Questo è il valore che il corpo dà a chi aspira a una grande gloria!»
Una volta detto questo, ci riferisce Livio sempre nel suo libro, Muzio infilò la sua mano destra nel braciere e senza farsi vedere dolorante, lasciò che il suo arto bruciasse lentamente fino a perderlo del tutto! Porsenna rimase totalmente impressionato e mettendosi paura lui stesso disse:
«Vattene, sei libero! Sei riuscito a colpire te stesso più di quanto tu non abbia fatto con la mia persona. Ti attribuirei grandi onori se solo tu fossi al servizio del mio popolo, ma poiché non è così, ti risparmio la vita e ti lascio libero.»
Qui uscì fuori il vero spirito romano di Scevola, che rilanciò bluffando alla grande. Infatti raccontò al Re etrusco, per incutergli ancora più timore, che lui era solamente il primo di 300 romani che avevano come obiettivo quello di ucciderlo. Il bluff funzionò e subito dopo aver liberato Muzio Scevola, Porsenna, impaurito, inviò un’ambasceria a Roma per chiedere la pace.
Tornato a Roma da vero eroe, il nobile romano prese il nuovo cognomen di Scevola ovvero il mancino, da scaevus, visto che la mano destra era ormai andata perduta nel fuoco. Inoltre in pochi lo sanno ma a Roma la leggenda vuole che si sappia precisamente il luogo dove questo grande gesto eroico avvenne. In via Sallustiana infatti, sul muro di cinta dell’odierna ambasciata americana in Italia, sopra un’anonima porta di ferro di una cabina elettrica è incastonato un frammento di un bassorilievo che raffigura proprio una mano tra le fiamme; proprio questa raffigurazione nel rione Sallustiano, si dice sia il punto esatto in cui Scevola perse la mano.
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