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Che Roma fosse un mondo a parte questo non c’era mica bisogno di sottolinearlo, ma come avevamo già accennato tempo fa, nella Capitale esisteva un sistema di misurazione tutto particolare all’interno delle osterie, scopriamolo insieme!
Dopo una giornata di lavoro e di fatica, al tempo delle osterie, quanno ancora ce stavano e quanno soprattutto ce se poteva annà, il romano era solito andarsi a dissetare e a rilassare in questi locali di Trastevere, dove il passatempo preferito era giocare a carte e bere vino. I più giovani si avventuravano nei vicoli del vecchio quartiere romano anche per cercare un po’ d’avventura con i propri amici o per corteggiare le donne, ma una volta entrati nell’osteria, l’ordine fisso era ‘na fojetta de vino. La fojetta infatti era il sistema di misurazione romana per indicare mezzo litro da condividere con gli amici. In un nostro articolo precedente dove parlavamo di Sisto V, er papa de fero, abbiamo già accennato al fatto che questo pontefice mise delle regole ferree per il servizio del vino al tavolo nelle osterie e impose un nuovo tipo di fojetta, in vetro. Fino al suo pontificato al termine del 1500 infatti, le caraffe in cui veniva versato il vino erano fatte di rame o terracotta e gli osti per risparmiare sulle tasse e sul vino servito ai loro clienti erano soliti versarne sempre un po’ di meno. Così il Papa, che facendose du’ conti, si era reso conto di perderci molti soldi di entrate in tasse, impose un nuovo modello, in vetro, molto simile a quello che ancora oggi vediamo nei ristoranti romani più tradizionali. In questo modo il cliente non poteva essere imbrogliato e il Papa era certo di incassare il giusto quantitativo di tasse.
La base da cui si partiva era la fojetta ovvero il classico mezzo litro di vino da condividere con la compagnia di amici. Se questa era molto numerosa allora si ordinava un tubbo, un litro di vino; se invece si era in pochi o magari da soli, si era soliti ordinare un quartino de vino, circa 250 ml. Se proprio ci si volevano bagnà le labra allora si ordinava un chierichetto, corrispondente a 1/5 di tubbo (200 cc): infine l’ultima misura, molto rara da sentire in un’osteria era il mezzo chierichetto; questa misura corrispondeva a 1/10 di litro, quindi a 100 cc, circa mezzo bicchiere e veniva chiamata anche sospiro o sottovoce, proprio perché chi la ordinava si vergognava di prendere così poco vino, molte volte per via della propria indigenza. Infine una misura che ha preso vita nella fine del 1800 è stato il barzillai, che corrispondeva a due litri di vino. Questa caraffa aveva preso il nome da un politico triestino, che durante i pranzi elettorali era solito offrire vino in grandi quantità e proprio per questo gli fu dedicata questa grande misura. Per ricapitolare:
Per riscoprire un po’ l’antico rapporto che i romani avevano con il vino ecco a voi un componimento del celebre Giggi Zanazzo:
Er vino nun è ccome ll’ojo che quanno se sverza o pper tera o ssu la tovaja porta disgrazzia.
Er vino invece porta furtuna, e cche straccio de furtuna!
Tant’è vvero, che quanno se sversa su la tavola da pranzo tutti ce vanno a intigne le déta, e ppoi ce se strufineno la faccia, la fronte, le labbra e lo bbaceno.
Infatti, quanno se va a bbeve a ll’osteria, quer goccétto, che cce se sciacqueno li bbicchieri, se bbutta su la tavola e mmai per tera.
Speciarmente da quanno er vino costa tanto caro! Indove so’ iti queli tempi bbeati che sse venneva pe’ Roma a un bajocco la fojetta e:
«Ppe’ ddispetto der diavolo, ddieci fojette a ppavolo?».
Prima (e ppuro adesso) quanno entravio in d’un osteria, e cce trovavio dieci, venti, trenta amichi che bbevéveno, ognun de loro v’offriva er su’ bbicchiere ppe’ bbeve.
Bbisognava pe’ fforza mettécce la bbocca, o intignécce magara le labbra a ttutti venti trenta e ppiù bbicchieri, senza scartanne uno. Si nnó quello che vve l’offriva, credènnose che l’avessivo co’ llui, se sarebbe potuto offènne, e ffavve, mai mai puro quarche àsola ar corpétto.
Ne so’ ssuccessi tanti de ’sti casi!E giacchè ssemo sur discorso der vino, io dico che in gnisuna parte der monno se bbeve tanto vino come a Roma.
Io m’aricordo che la bbenedett’anima de mi’ padre che cce negozziava, carcolava uno sciupo de vino d’un quartarolo ar giorno, per ogni carettiere che cciaveva ar servizzio.
E bbisognava vede si cche ppezzi d’ômmini ribbusti che èreno, e ccampàveno quant’e Nnovè.
Dunque sii ogni sempre bbenedetto er vino e cchi l’ha inventato!
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