“La Pratolina”, il ristorante che serve la cucina romana con un tocco creativo
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Per più di mille anni, fino al 1870, lo Stato Pontificio fu retto da un Papa-Re che gestiva il potere religioso, politico e militare. Forte di una ferrea struttura militare e poliziesca e di una cospicua organizzazione burocratica il Papa e i suoi funzionari attuavano anche una continua opera di redenzione sui vizi e le dissolutezze dei sudditi, a cominciare dalla sorveglianza sulla vendita e il consumo del vino, anche a costo di mescolare gli aspetti moralizzatori con i vantaggi fiscali.
Papa Sisto V, al secolo Felice Peretti (1521-1590), è ricordato come un tenace riformatore, un uomo di ferro votato al potere assoluto e soprattutto un abile finanziere. Con la salita al soglio pontificio si preoccupò, com’era consuetudine, di trovare una sistemazione alla famiglia e di ingrandire la sua Villa nei pressi della basilica di S. Maria Maggiore fino a occupare un’area di 160 acri.
Nel corso dei suoi cinque anni di pontificato, Papa Sisto – che Giuseppe Gioacchino Belli definiva Er Papa Tosto, rugantino (irascibile) e che nun la perdonò neppur’a Cristo – si distinse soprattutto per la riorganizzazione burocratica dello stato pontificio e per la lotta senza quartiere al malcostume, alla corruzione e al brigantaggio. Non contento di tutto questo, il pontefice intraprese un grande progetto di riqualificazione dell’Urbe che comprendeva tra l’altro l’apertura di nuove strade (tra cui la Via Sistina), la costruzione del nuovo acquedotto dell’Acqua Felice (il primo dopo le invasioni barbariche), la costruzione del Palazzo Laterano, il completamento della cupola di San Pietro, l’edificazione dell’Ospizio dei Mendicanti e l’ampliamento della villa sul Monte Cavallo che poi divenne il Palazzo del Quirinale. A lui si deve anche la realizzazione del Salone Sistino della Biblioteca Vaticana, la più grande sala affrescata esistente al mondo al di fuori delle chiese, che misura 70 metri di lunghezza e 15 di larghezza. Estimatore delle arti e appassionato di antichità classiche arricchì la città di fontane, obelischi e sculture, provvedendo anche al restauro della Colonna Traiana e della Colonna di Marco Aurelio.
Per far fronte a queste enormi spese Sisto V ricorse alla tassazione dei generi di maggior consumo. Fu così che agli osti fu richiesto di pagare all’erario una tassa di un quattrino per ogni mezzo litro di vino venduto, – all’epoca messo dentro delle brocche dette in gergo fojette –, calcolata sulla giacenza giornaliera dichiarata. Per risparmiare sulla gabella e servire meno vino, qualcuno si faceva costruire fojette più piccole di quelle autorizzate con bolla papale, qualcun altro allungava il vino con acqua, ma in entrambi i casi il locandiere sorpreso dai frequenti controlli della gendarmeria papalina rischiava la galera e il sequestro di tutti i suoi beni. Ai tavernieri non restava che lucrare sulla quantità riempiendo boccali e fojette con un 8, 10% di vino in meno, complice il fatto che caraffe e boccali non erano di vetro ma di rame e terracotta ed era quindi impossibile per il cliente giudicare “a occhio” il rispetto del livello. Al netto di qualche rimostranza da parte dei bevitori più pignoli e piantagrane, queste piccole sfojettature a danno dell’erario non sollevarono grandi proteste tra la popolazione.
Tanto per fare un calcolo, a quell’epoca una taverna nei pressi dei mercati poteva vendere anche mille fojette di vino al giorno, una sfojettatura del 10% su ogni bevuta significava 100 quattrini di imposta evasa – pari a uno scudo d’argento – solo da quell’oste. Sisto V non ci mise molto a fare i conti e a scoprire che le sfojettature operate da 300 osti e tavernieri costava alle casse papali 300 scudi d’argento ogni giorno e oltre 100 mila scudi ogni anno! Per risolvere la faccenda, nel 1588 er Papa tosto diede all’ebreo Meier Maggino (Sisto V si dimostrò molto tollerante con gli ebrei, al punto di eliminare l’obbligo di risiedere nel ghetto e di non esercitare commerci) il monopolio di fabbricare dei nuovi contenitori grazie ai quali gli avventori potevano controllare l’esatta misura di vino servita dall’oste.
La fojetta ufficiale ora era in vetro trasparente, aveva il collo stretto e la bocca larga, il livello del mezzo litro era chiaramente indicato da una linea incisa o a rilievo e sul corpo aveva impresso il sigillo del Ministero delle Finanze Pontificio. Narra Giggi Zanazzo che il Papa stesso si recò in un’osteria sotto mentite spoglie per verificare il rispetto delle nuove misure e avendo avuto la prova delle reiterate sfojettature fece impiccare l’oste il giorno dopo proprio davanti alla sua hostaria. Da allora, fino al 20 settembre 1870, in tutte le mescite, osterie, cantine, taverne e bettole di Roma si adottò la fojetta (500 cc.) come unica misura di riferimento per il vino e la sua tassazione al consumo. Per praticità furono stabiliti nel tempo anche dei multipli e sottomultipli:
Al barzillai (curiosa denominazione della caraffa di due litri) dedicheremo un capitoletto a parte.
Sergio Grasso
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