“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Il quartiere ebraico è uno dei posti più affascinanti del centro storico romano, posto com’è a ridosso del Tevere e a due passi da Largo Argentina e Piazza Venezia. La storia di questo pezzetto di Roma è molto complicata ma qui tenteremo di raccontarvela facendovi conoscere le cose che hanno unito le comunità giudaico-romana ma anche uno dei momenti più bui della storia della Capitale, come fu il rastrellamento tedesco del 1943.
La storia del ghetto di Roma è antichissima e racconta oltre la separazione di questa popolazione dal resto della città anche l’integrazione che in un modo o nell’altro si è perpetrata nel corso della storia. La storia del ghetto nella capitale papale, nasce nel 1555 con Papa Paolo IV, che sull’esempio di Venezia, obbligò a tutte le persone di religione ebraica di risiedere in quell’angolo di Roma stretto tra le rive del Tevere e l’antico portico d’Ottavia, alle spalle del Teatro Marcello. Solo nel 1848 Pio IX abbatté le mura del ghetto e tolse l’obbligo di residenza degli ebrei in questa zona, ponendo fine a una separazione durata quasi tre secoli.
Il maggior esempio di integrazione della popolazione ebraica all’interno della comunità romana, è ancora oggi testimoniato da alcuni piatti che sono diventati tipici di Roma, ma che allo stesso tempo sono caratteristici di quello che oggi è il quartiere ebraico. Piatti come i carciofi alla giudìa, i fiori di zucca pastellati ripieni con mozzarella e acciuga, il filetto di baccalà, fanno tutti parte della tradizione gastronomica giudaico romana. Ma non è finita qui, se volessimo approfondire questo argomento vedremo che il brodo di pesce, o il famoso quinto quarto (ovvero le frattaglie del manzo) e per finire gli aliciotti con invidia sono ancora testimonianze di come nonostante ci fossero le mura a dividere due comunità, la cultura trova sempre il modo di contaminarsi, soprattutto una volta seduti allo stesso tavolo.
Purtroppo la prima parte del ‘900 è stata rappresentata dalle feroci dittature di stampo fascista che hanno occupato i governi di stati come l’Italia e la Germania e che hanno portato negli anni ’40 allo scatenamento della seconda guerra mondiale. Con questo evento e l’occupazione tedesca dell’Italia, i rastrellamenti e le persecuzioni contro gli ebrei presero più vigore anche nel nostro paese, che nel 1934 aveva emanato le leggi razziali. Così nel 1943 si scrisse forse una delle pagine più buie della storia della storia della Capitale, 1007 ebrei romani furono rastrellati nella notte del 16 ottobre del 1943 e deportati nei vari campi di concentramento nazista. Di quelle mille persone tornarono a Roma solo 15 uomini e 1 donna.
Nel gennaio del 2010, anche a Roma si diffuse un progetto artistico del tedesco Gunter Demnig, che ideò le famose pietre d’inciampo. In pratica delle piccole targhe di ottone della misura di 10×10 cm, come la facciata superiore di un sampietrino, su cui iscrivere nome e cognome, anno di nascita e di morte e riferimento anche al campo di sterminio in cui la persona fu deportata e uccisa. Queste piccole targhe vengono solitamente incastonate in strada, sotto i portoni o nei pressi delle abitazioni in cui abitavano e vennero sorpresi e deportati in quella maledetta notte del 16 ottobre queste persone. Per questo camminando per le splendide vie del centro storico romano e soprattutto in via Portico d’Ottavia, vedrete molte di queste pietre d’inciampo poste lì per non dimenticare mai questa sciagura.
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