“Po esse”, la frase dei dubbiosi
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Normalmente con questa parola s’intende un certo tipo di pasta, ma a Roma in realtà significa anche molto altro. Tu conoscevi il suo significato?
Non sempre le parole che appartengono al dialetto di un posto hanno lo stesso significato di quelle che invece sono parte dell’italiano corretto. A volte capita infatti che ci siano delle parole in dialetto che sono identiche a quelle in italiano, sia per come sono scritte, che per come vengono pronunciate, ma che hanno però dei significati totalmente diversi tra loro.
Basta pensare alla “pappardella”. In italiano viene intesa come un tipo di pasta molto simile alle tagliatelle, ma decisamente più largo. Una prelibatezza della cucina italiana da gustare con un bel sugo di carne o di funghi.
In romanesco però la parola assume tutto un altro significato, che non ha niente a che vedere con la pasta e neppure con il cibo.
In romanesco la “pappardella” si usa come modo di dire nei confronti di qualcuno che ripete le cose in maniera talmente lunga e noiosa, da far passare la voglia d’ascoltare ciò che sta dicendo. In genere infatti si accosta a frasi come “mi ha stufato, racconta sempre a solita pappardella” oppure “ce risemo, arifa a pappardella”.
In altri casi invece la parola viene usata per evidenziare il fatto che qualcuno sta facendo un discorso che non ha alcun senso e che quindi non vale la pena ascoltare. Anche in questo caso quindi si indica qualcosa di noioso, che non vale la pena ascoltare.
La “pappardella” viene quindi usata per indicare qualcosa di noioso, ma non sempre si usa questa parola per indicarlo. Altre volte soprattutto nell’Italia centrale, si sostituisce la “pappardella” con il “pappagallo”, per indicare a ripetitività di un certo discorso.
Si accosta quindi a frasi come “stai ripetendo a pappagallo” oppure “che pappagallo che sei”.
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