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Da secoli è una delle piante che ombreggia per chilometri le sponde del Tevere, il platano è una pianta secolare di stazza imponente e molto apprezzata per la sua bellezza sin dall’antichità, anche dai romani..

Albero amato da Napoleone e parte integrante delle aree verdi dei nostri paesaggi urbani, dai parchi ai grandi viali, dai giardini privati agli orti botanici, il platano è una pianta secolare di stazza imponente e molto apprezzata per la sua bellezza sin dall’antichità.. Tuttavia, non si tratta esattamente della stessa pianta: il platano apprezzato da antichi romani e greci è la platanus orientalis, originario dell’Asia occidentale. Dalla sua diffusione dall’area balcanica a quella italica e iberica, il platano viene introdotto in Inghilterra nel Cinquecento e qui si incrocia con la platanus occidentalis, importato dalle Americhe, e ne deriva la platanus hybrida, la pianta che, a Roma, ombreggia per chilometri le sponde del Tevere.

Come per tanti altri elementi culturali, artistici e religiosi, anche l’uso del platano come albero decorativo arriva a Roma per il tramite della Grecia. È Plutarco a riportare che fu Cimone, legislatore di Atene, il primo a piantarne splendidi esemplari nell’Agorà e nella sede dell’Accademia platonica. I luoghi di ritrovo si arricchiscono di maestosi alberi che donano ombra ai cittadini che vogliano ripararsi dalla calura e fermarsi a conversare: il platano diventa verde pubblico, la pianta eletta a segnalare luoghi di passaggio o di sosta, di svago e d’appuntamento. Poiché l’Italia non fa parte dell’area di diffusione spontanea del platano, l’albero viene introdotto per importazione. Ispirato dal suo incontro con Platone, Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, rimane affascinato dai platani che costeggiano le passeggiate dell’Accademia di Atene da decidere di piantarne a decine nel suo parco di Reggio. A Roma, il platano diviene presto una pianta esotica rara, emblema del benessere economico e dunque del prestigio sociale di chi la acquista poiché molto dispendiosa e non redditizia, se si esclude la ricchezza dell’ombra che offre – il platano, infatti, non fa frutti e richiede terreni umidi e irrigazioni frequenti.

Erodoto racconta che Serse, re dei Persiani, quasi si innamorò di un platano, tanto da coprirlo di monili d’oro e affidarlo alla stretta sorveglianza delle sue guardie del corpo.
Il Fedro di Platone inizia proprio con l’iconico platano, situato presso le sponde del fiume Ilisso, che offre riparo dal sole a Socrate e al suo interlocutore. luogo evoca presenze mitologiche: le ninfe, Acheloo e Pan, il selvatico dio della natura. Secoli più tardi, Cicerone citerà esplicitamente questa scena nel De Oratione, collocando l’avvio del suo dialogo proprio sotto il platano della villa di Crasso a Tusculum. Pianta magnifica, dalla chioma folta e accogliente quanto sterile, il platano si presta a slittamenti sul piano simbolico che, nella letteratura latina, lo assurgono a simbolo degli incontri di ogni tipo: amorosi, simposiaci e intellettuali. Un bosco di platani è il luogo prescelto da Petronio Arbitro per far incontrare Encolpio e Circe nel Satyricon, traendo dal mito greco che voleva che Giove ed Europa avessero consumato il loro amore sotto le fronde di un platano. Anche nelle Metamorfosi di Apuleio, un platano offre ristoro a Socrate e Aristomene, che si fermano sotto i suoi rami per rifocillarsi. Plinio il Vecchio è il più critico: sorpreso dal successo di una pianta il cui unico pregio è offrire un fresco riparo, attribuisce alla sfrenatezza immorale del lusso della società romana di età imperiale il moltiplicarsi di questi grandi alberi che alcuni annaffiano addirittura con il prezioso vino. Ad attestare l’eccezionale trattamento che i più appassionati coltivatori riservano al platano c’è anche Ovidio, che scrive: “L’amore ama gli otia, come il platano ama il vino”. Marziale e Orazio seguono Plinio, servendosi del favore che l’inutile bellezza del platano riscuote presso le classi agiate per polemizzare contro la sterile raffinatezza del lusso.
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