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La Sedia Diavolo uno dei luoghi più misteriosi di Roma

foto di: Immagini prese dal web

Tra i luoghi più misteriosi e suggestivi di Roma, esiste un monumento funebre che nel corso dei secoli si è guadagnato il sinistro soprannome di Sedia del Diavolo.

 

Dedicato a Elio Callistio

Situato oggi in piazza Elio Callistio, a metà tra i quartieri Nomentano e Africano, questo rudere risalente al II secolo d.C, l’età Antonina, è innanzitutto un sepolcro a tempietto intitolato a Elio Callistio, appunto, un liberto dell’imperatore Adriano. Strutturato su due piani e realizzato in laterizio, la sua forma, appunto, a “sedia” è causata dal crollo della facciata, che la fa somigliare a una cattedra vescovile di enormi dimensioni. Proprio a causa della sua conformazione, il monumento divenne spesso rifugio per pastori e vagabondi, ignari della memoria storica che essa portava con sé. Nel XII secolo il sepolcro di Elio Callistio sorgeva nel bel mezzo della campagna romana, a poca distanza dalla Basilica di Sant’Agnese fuori le mura, ergendosi ben visibile in quei chilometri di distese verdi, tra le valli dell’Aniene. Caduto ormai da tempo l’Impero Romano e con esso la sua gloriosa storia, ignara della destinazione di una architettura tanto imponente e terribile la popolazione iniziò a ricamare storie e leggende intorno al luogo, ben visibile anche da lunga distanza e rilucente sinistramente nel buio pesto della notte per via dei fuochi che i viandanti accendevano tra le sue mura.

 

Le terra degl’inferi

Da pastori e pellegrini, talvolta meno raccomandabili banditi e fuggitivi, presto si iniziò a vociferare che i frequentatori più assidui di questo sito imperiale andato in rovina e isolato rispetto al centro urbano fossero streghe e maghi, che vi tenevano ogni notte sabba infernali e incontri con il Maligno. D’altra parte, il luogo in cui la “sedia” si ergeva era notoriamente legato alla presenza di Satana sin da tempi antichissimi. Lungo le valli del fiume Aniene, infatti, già i popoli italici avevano interpretato la vivace attività di fenomeni vulcanici come segni dell’esistenza di vie sotterranee per l’Ade pagano, che presto diventò l’Inferno cristiano. Il regno ctonio prendeva spesso possesso delle valli vomitando magma incandescente: per propiziarsi una protezione dalle incursioni demoniache, i pagani votavano onori al culto di Hercules, mentre i cristiani pregavano edificavano chiesette rurali dedicate a San Michele, l’Arcangelo che aveva sconfitto Satana in persona. Il territorio sabino pullula di reperti che dimostrano l’esistenza di luoghi di culto intitolati a Ercole o a San Michele.

 

Le leggende e il battesimo della piazza

Per la sua posizione, fu facile far divenire il monumento funebre una delle bocche spalancate sull’inferno, antro ideale per riti e fatture. La maggior parte delle leggende nate dall’eccitazione della fantasia popolare sono imperniate sull’alchimia e la magia nera. Secondo una di queste storie, pare che l’alchimista di nome Zum Thurm avesse inciso la parola “kabala” sui mattoni della “sedia”, dislocando le lettere ognuna su un mattone diverso per rendere inaccessibile la formula. Chi fosse riuscito a trovarle e leggere nella giusta sequenza avrebbe però acquisito il magico potere di mutare il destino proprio e altrui. Un’altra versione della leggenda tramandava invece che le pietre del rudere avessero soprannaturali capacità curative: grattandone la superficie, bastava aggiungere un po’ della polvere ottenuta a pozioni medicamentose per arricchirne i benefici. Ancora nel XVIII erano vive tra la gente le suggestioni sulla Sedia del Diavolo, tanto che la gendarmeria pontificia dovette intervenire per disperdere i numerosi adepti di Marco Dominici, un profeta satanista che preconizzava “l’avvento di Satana”, i cui raduni si tenevano proprio qui. La tradizione popolare si mantenne solo nel nome della piazza, che fu ufficialmente “piazza Sedia del Diavolo” fino al 1958, quando un comitato di cittadini richiese di modificare il toponimo: in quell’anno, la piazza assunse così il titolo di piazza Elio Callistio con cui oggi la conosciamo.