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Ma come? Se è di Tor di Quinto, il titolo è sbagliato, direte voi! E invece no, avete capito bene. Allora, cosa ci fa, sulla via Nomentana, un mausoleo che – a detta del nome – doveva stare da tutt’altra parte?
Effettivamente, a scanso d’equivoci, esiste un Mausoleo di Tor di Quinto, si erge proprio in quella zona, nelle vicinanze del celebre Ponte Milvio. I romani lo costruirono lungo la via Flaminia antica, ovvero lungo una delle strade che, dal centro, uscivano da Roma. Su questo si reggeva, infatti, il motivo per cui specialmente su certe vie venivano tumulati i defunti in sepolcri o catacombe: perché fuori dalle mura della città. Situato oggi nell’area di proprietà dei Carabinieri a cavallo, sul sito si trova conservata solo una parte di quell’antico monumento, databile tra il I e il II secolo d.C.: le spoglie di un mausoleo che, a tutti gli effetti, sembrano duplicarsi su via Nomentana.
(Fonte: Giovanna Vernarecci)
All’altezza di Sant’Agnese, infatti, potete accorgervi della presenza di una “torretta“, del tutto simile a quella presente sulla Flaminia. La chiamano, comunque, mausoleo di Tor di Quinto, ma perché? Sarà per via della somiglianza? Spoiler: no. Per comprendere questa curiosa circostanza, dobbiamo tornare indietro nel tempo, a quando i nostri antichi antenati diedero vita al mausoleo in questione. Tornare, quindi, a quando, lungo l’antica strada delineata per decisione del censore Gaio Flaminio Nepote, cominciarono a innalzarsi le prime strutture mortuarie.
Innanzitutto cos’era un Mausoleo? Era un monumento sepolcrale, atto a celebrare colui o colei che vi si ponevano all’interno. Come quello di Augusto, poi, tanto più il defunto aveva ricoperto una carica importante in vita, quanto più le dimensioni di quell’edificio funerario erano grandiose. Ora, il Mausoleo di Tor di Quinto, non era altrettanto imponente ma, seppur piccolino, si componeva di due tamburi gemelli. Cioè, di due strutture cilindriche verticali alla fine delle quali, probabilmente, sorgeva una piccola volta a cupola. Tenete ben a mente questo numero: due. Facciamo, dunque, un ulteriore passo avanti.
(Fonte: RomaH24.com)
Col nuovo Regno d’Italia, le politiche emergenti, più laiche rispetto alle precedenti, cominciarono a sostenere sempre di più i diritti della proprietà privata (la legge sulla tutela del patrimonio artistico nazionale verrà promulgata solo nel giugno del 1902). Così, nel pieno del diritto di disporre di quanto avrebbe rinvenuto nella sua proprietà, quando il proprietario della tenuta di Tor di Quinto, nel dicembre 1875, dopo circa quindici giorni di scavi, rinvenne nei suoi giardini quel patrimonio di resti archeologici, nessuno potè impedirne spostamenti o divisioni.
In altre parole, quando fu riportato in superficie uno dei due tamburi (quello che ancor oggi svetta a Tor di Quinto), i rivestimenti marmorei dell’altro vennero tranquillamente trasportati altrove. Messi in vendita vent’anni dopo, sul mercato antiquario romano, e proposti al Museo nazionale Romano (che non potè acquistarli per carenza di fondi), solo l’attento sguardo dell’archeologo Giacomo Boni, allora ispettore della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, li riconobbe e cercò disperatamente di farne qualcosa.
(Fonte: Wikipedia)
Il patrimonio sarebbe andato infatti perduto, se qualcuno non avesse recuperato quegli antichi reperti. L’occasione gli si presentò dopo qualche tempo, quando, su invito del barone Alberto de Blanc, il noto archeologo si ritrovò a ristrutturare una delle sue proprietà: Villa Blanc su via Nomentana. Preso in mano il progetto della residenza, il Boni non si fece certo sfuggire l’opportunità di ricostruire quei resti e, all’interno del vasto parco, riportò ad antico splendore quello che oggi – a ragion veduta – è soprannominato “Mausoleo di Tor di Quinto“. In realtà, la parte gemella mancante a Tor di Quinto. Per questo motivo, all’altezza di Villa Blanc, in prossimità della Basilica di Sant’Agnese, si può ancora ammirare quel tamburo. Il tassello solitario, di un puzzle di storia ancora più grande.
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