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L’Aniene, uno degli affluenti del grande biondo Tevere, è un fiume molto importante per la città di Roma, in quanto le sue acque per secoli hanno tolto la sete a tutti i romani, con in numerosi acquedotti che vennero costruiti per catturare le sue acque, ma perché si chiama così e cosa nascondono le sue sponde?
Il secondo affluente del Tevere, che oggi noi chiamiamo Aniene, non sempre ha avuto questo nome. In tempi antichi, ancor prima dei romani, il fiume veniva chiamato Parrenziùs, fino a che i popoli che abitavano intorno al suo corso cominciarono ad appellarlo Anio. La leggenda infatti vuole che nel territorio di Subiaco, dove scorre il fiume, in una notte sia affogato il re etrusco Anio. Le circostanze della morte sono ascrivibili al mito e la causa del decesso del sovrano è dovuta, come quasi sempre accade nelle leggende, ad un affare d’amore. Catillo, padre di Tiburto, Coras e Catillo minore, mitici fondatori di Tivoli, si era invaghito della figlia del re etrusco e una notte la rapì. Anio, infuriato, decise di inseguirlo per riprendersi sua figlia e radunata una squadra di uomini, cominciò a cercare in lungo e in largo il rapitore. Arrivato nei pressi del territorio di Subiaco – dove sorgerà in futuro la villa di Nerone, il monastero benedettino e la città omonima -, si scatenò una tempesta, che gonfiò enormemente le acque dell’allora fiume Parrenziùs. Accecato dall’ira, Anio non volle ascoltare i consigli dei suoi uomini, che gli esortavano di non attraversare il fiume in piena; purtroppo però, il re non ascoltò nessuno e spronato il proprio cavallo ad attraversare il fiume, venne travolto e inghiottito dalle acque del fiume. Qui il mito ha due versioni finali, una racconta che nelle notti di tempesta, sulle sponde dell’Aniene in concomitanza del luogo dell’accaduto, si sentano ancora le grida di disperazione del re etrusco; l’altra invece racconta di come Anio, tornato immediatamente sulla terra sotto forma di spirito, riuscì alla fine a sottrarre sua figlia dalle grinfie di Catillo, abbandonato su quel monte che ancora oggi porta il suo nome.
La valle del fiume dell’Aniene serba ancora un altro mistero; durante il suo principato infatti, Nerone prima della costruzione della Domus Aurea, decise di costruire per sé una villa mastodontica, proprio nel territorio di Subiaco. Quest’edificio, chiamato Sublaqueum, da cui avrà origine il nome di Subiaco, si estendeva sulle rive dei tre laghi artificiali, che gli architetti e gli ingegneri romani avevano creato appositamente grazie a sbarramenti e piccole dighe. Questi specchi d’acqua si venivano chiamati Simbruina Stagna. La villa fatta costruire dall’imperatore però non ebbe vita lunga; infatti durante i primi soggiorni dell’imperatore accaddero degli eventi sinistri: il primo fu l’abbattimento di un fulmine sulla mensa, il secondo invece fu la malattia che colse Nerone in persona dopo aver fatto il bagno in uno dei laghetti su cui si affacciava la sua costruzione. Questi segnali erano chiaramente dei presagi di cattiva sorte, le divinità erano contrarie, così come, secondo alcune profezie, a Roma era pronta una congiura contro di lui. Così l’imperatore decise di tornare nella Capitale, per tenere tutto sotto controllo e dimenticandosi di questa enorme villa, che venne abbandonata.
Nei primi anni del medioevo però ci fu una persona e precisamente un uomo, che di seguito diverrà anche santo, che trovati i resti di questa villa decise di riutilizzare alcuni dei suoi locali per dare vita a un monastero. È San Benedetto da Norcia che dopo aver vissuto per tre anni da eremita all’interno di una grotta e aver guidato una comunità di frati che tentarono di ucciderlo a Vicovaro, tornato in queste zone costruì su questi resti quello che oggi conosciamo come il suo Monastero, a strapiombo sul corso dell’Aniene. Ai piedi di quest’edificio si trova anche un bellissimo laghetto, intitolato sempre al Santo, in cui lui e tutti i suoi monaci scendevano a fare rifornimento d’acqua.
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