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Roma è diventata un impero non solo grazie alla potenza nella guerra, nella diplomazia, nell’ambito giuridico o per aver prodotto bellezze senza tempo; i romani infatti erano anche uomini pragmatici , funzionali, che hanno costruito strade che collegavano tutto il mondo con la Capitale, ma anche per aver costruito un’altra infrastruttura molto importante, gli acquedotti.
L’espansione dell’impero romano, ha portato in tutta Europa e nell’area mediterranea, sicuramente grande sviluppo e progresso a tutti i popoli. La sapienza nell’amministrazione e la capacità di far progredire territori era sicuramente uno degli aspetti positivi del popolo romano. Alcune tra le infrastrutture che hanno permesso un grande sviluppo dell’impero sono state le strade, che, soprattutto in Italia, connettevano i territori periferici con Roma.
Un’altra cosa che ha fatto diventare Roma Caput Mundi, in tutti i sensi è stata la grande e continua costruzione di acquedotti, dalla prima età repubblicana fino a quella imperiale. Queste opere di finissima ingegneria, cominciarono ad essere indispensabili alla città dal 300 a. C., circa, quando oramai a causa dall’ingrandimento della Capitale e all’inurbamento sempre maggiore di uomini provenienti dalle campagne, l’acqua cominciava a scarseggiare. Fino a quel momento infatti, il popolo di Roma si riforniva d’acqua attingendo direttamente dal biondo Tevere, da pozzi cittadini o da sorgenti vicine. Di acquedotti in età antica ne vennero costruiti undici, che facevano arrivare nella città di Roma praticamente il doppio dell’acqua che arriva oggi. Fresca! E che ce facevano co’ tuta st’acqua? Bè, c’è da dire che di acqua nella Capitale ce n’era veramente bisogno, visto che bisognava rifornire le circa 1300 fontane pubbliche, quelle monumentali che erano 15, le piscine, circa 900 e le 11 terme pubbliche, grande fulcro della vita civile romana. Inoltre c’erano anche i due bacini utilizzati per gli spettacoli delle battaglie navali, i laghi artificiali e alcune residenze private che già avevano l’acqua in casa. Di questa grande opera di civiltà gli stessi romani erano molto orgogliosi, basta vedere cosa diceva Plinio il Vecchio:
“Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso”
Intorno al 226 d. C. dunque si attesta la costruzione dell’ultimo acquedotto di epoca antica, l’Aqua Alexandrina, ma andiamo per ordine, questa è la lista completa di tutte le infrastrutture che rifornivano Roma di acqua
Quasi tutti questi acquedotti venivano dal versante est della Capitale, oltre Tivoli, eccetto quello dell’Aqua Alsietina e quello dell’Aqua Traiana, che invece iniziavano il loro percorso dalle vicinanze del lago di Bracciano. Il più lungo, con i suoi 87 km è l’Anio Novus che si aggiudica anche la menzione per essere l’acquedotto con più portata di litri al secondo, ben 2274. La maggior parte però di queste infrastrutture però, dopo la caduta dell’impero romano, cominciarono a non essere più curate, alcune vennero anche abbattute, fortunatamente in maniera parziale, per non essere veicoli di attacchi militari. Così dal IX secolo, a causa anche del calo demografico e di una depressione economica, la popolazione di Roma riprese ad attingere l’acqua direttamente dal Tevere o dai pozzi cittadini, come subito dopo la fondazione della città. Solo nel rinascimento si cominciò a ricostruire acquedotti, uno dei quali culminava nell’odierno Fontanone. Vi lasciamo con un pensiero sempre sugli acquedotti di Sesto Giulio Frontino, anch’egli come tutti i romani molto orgoglioso di queste opere:
«Una tale quantità di strutture, che trasportano così tanta acqua, comparala, se vuoi, con le oziose Piramidi o con le altre inutili, se pur rinomate, opere dei Greci.»
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