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Le “corate” papali o quando “’mbarzamato ’n papa se ne fa ’nartro”


Per la serie “stranezze e dove trovarle”, la storia di Roma colpisce ancora: stavolta di mira è una singolare trovata del Vaticano che, da buon osservatore, non è sfuggita al Belli!

Il Vaticano a Roma

Tra le tante attrazioni romane, sicuramente quella che riscuote maggior successo fra i turisti è la Città del Vaticano, dimora attuale da fine ’800 del papa. Noi romani non ci pensiamo mai, ma la presenza papale è davvero una rarità: di papa ne esiste uno in tutto il mondo e si trova a Roma! Sembra ovvio dirlo, soprattutto perché ognuno lo sa, eppure spesso dimentichiamo quanto questo porti la città sotto i riflettori di ogni continente! Per intendersi: il papa è l’influencer più seguito, in assoluto! E lo era pure quando i social non esistevano, pensate un po’!

Non è un caso che il Vaticano vanti il patrimonio culturale per eccellenza, i suoi beni artistici non hanno pari: basti pensare alla Cappella Sistina, ar cupolone, a Piazza San Pietro, agli artisti che storicamente si sono avvicendati apportando continue ricchezze, per un tesoro dal valore incalcolabile.

Non sono mancate, tuttavia, fra le tante vicende dello stato della chiesa, fatti per così dire poco consueti, inusuali, strani. Il Belli, poeta romanesco e attento osservatore satirico, non se n’è fatta sfuggire una, nonostante gli impiegati ecclesiastici cercassero di nasconderne qualcuna –ai romani nun je se po’ nasconde’ gnente!

’A coratella papale

Molti di voi penseranno si tratti di descrivere la ricetta papale di un tipico piatto romano, la coratella: ecco, non è proprio così. Se siete persone un po’ suggestionabili e sensibili, quello che vi stiamo per raccontare vi farà un po’ ribrezzo, ma ao la storia nun è sempre rose e fiori! Vi lasciamo ancora qualche riga, per decidere se procedere o meno, premettendo – dato l’intro però! – che non stiamo per raccontarvi la storia di un papa Hannibal Lecter che si cibava di frattaglie umane mentre beveva Chianti, sia chiaro – ’na roba pure ’n po’ blasfema che certo nun s’addice a ’n papa!

Tutti potrete immaginare quanto sia importante la sepoltura di un papa che sia passato a miglior vita. La cripta della Chiesa in Vaticano ne raccoglie le spoglie, offrendole al culto dei fedeli: le file per scendere sono sempre molto lunghe; si vede gente piangere sulle tombe papali e non è un eufemismo! Per quanto il credo cristiano, promettendo la vita eterna, di fatto sminuisca un po’ il corpo, semplice materia biodegradabile dell’esistenza, dando maggior risalto a l’anima, la sepoltura in quanto pratica di passaggio ha sempre richiesto una particolare cura, da che il mondo è mondo.

Sarà forse per il nostro bisogno di contatto con le cose del mondo, sintomo di un’innata concretezza, che addolorati dalla perdita abbiamo sempre cercato ristoro nell’avere un luogo fisico in cui recarci, lenendo la sofferenza nell’illusione necessaria (e sana) di un rapporto continuativo col defunto.

In particolare, per secoli i pontefici sono stati imbalsamati, previa asportazione delle viscere, chiamate appunto “corate”, secondo un’antica usanza, predisposta da papa Sisto V e abolita soltanto da Pio X, ad inizio ’900.

 

I papi imbalsamati e le interiora conservate

Ora vi starete chiedendo dove andassero a finire queste “frattaje”, come le chiamerebbe in gergo il popolo, ché certo non venivano buttate via! Le interiora papali venivano portate, di fronte Fontana di Trevi, alla Chiesa dedicata a San Vicenzo e San Anastasio, parrocchia pontificia del Quirinale, allora dimora papale fino al 1870. Le corate venivano sistemate nella Chiesa dal cappellano segreto, una volta imbalsamato il papa, chiuse in un’urna di porfido e conservate nei sotterranei, costruiti appositamente intorno al ’700 da papa Benedetto XIV.

Per questo, lo scaltro Gioacchino Belli, in un suo sonetto, definì la Chiesa “museo de corate e de ciorelli”.

Oggi si contano i precordi di 23 papi, di cui è possibile leggere la lista dei nomi sulle doppie affissioni in marmo della chiesa.

 

«Tu tte sbajji: nun è in una cappella,
è ppropiamente su a l’artar maggiore.
Li stanno li precòrdichi, Pacchiella,
d’oggni Sommo Pontescife che mmore.
              
     Che mme bburli? te pare poco onore?
Drent’una cchiesa er corpo in barzamella, 
e ddrent’un’antra li pormoni, er core,
er fedigo, la mirza e le bbudella!
              
     Morto un Papa, sparato e sprufumato,
10l’interiori santissimi in vettina
se conzeggneno in mano der curato.
              
     E llui co li su’ bboni fratiscelli
l’alloca in una spesce de cantina
ch’è un museo de corate e de sciorcelli»

 

(G. Belli, San Vincenz’e Ssatanassio a Ttrevi , 1835)