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Roma.com intervista Piskv: l'artista romano che ha fatto di Roma la sua tela d'arte


Le abitudini descrivono un carattere. Iniziative sociali, riqualificazione urbanistica, consacrazione artistica, Francesco Persichella, in arte Piskv, costruisce la sua arte, in strada a Roma, tela delle sue opere.

 

Ciao Francesco – in arte Piskv – sei un’artista decisamente eclettico. So che non ami definirti street artist. Come descriveresti il tuo lavoro?

Le definizioni implicano la ricerca del termine giusto a descrizione di qualcosa. Il mio lavoro si apre ad orizzonti decisamente vasti, la creatività è l’unico termine che non si limita alla mera definizione ma abbraccia le molteplici sfumature del mio impegno quotidiano: sono un creativo urbano, lavoro attraverso la creazione materiale di opere.

Negli anni ho conseguito una laurea in architettura, un approccio che mi permette di spaziare dall’illustrazione, ai lavori architettonici, per poi passare alla pittura: un dialogo continuo legato a doppio filo dalla passione per l’arte.

 

Sei impegnato attivamente nel donare la tua arte alla città di Roma. Cosa rappresenta per te la street art nel contesto urbano romano? Perché hai scelto Roma come museo a cielo aperto per le tue opere?

Hai detto bene, Roma è un museo a cielo aperto: raccontarne la maestosità, i personaggi e la bellezza, significa donare una piccola parte di me all’anima eterna della città. Mi affascina la complessità urbanistica di Roma, ogni quartiere detiene una propria identità forte e caratterizzante. La peculiarità risiede nella diversità: lavorare in quartieri vicini, ma estremamente differenti dal punto di vista sociale e culturale, è uno stimolo alla mia arte. Sono a Roma dal 2011 e continuo, giorno dopo giorno, ad alimentarmi dei continui spunti artistici che perpetuano in ogni angolo della città.

 

A livello giuridico l’artista di strada è incompreso poiché spesso non se ne comprende il movente. La street art rientra fra i diritti atipici e la giurisprudenza si interroga circa la prospettiva economica, sociale – quindi giuridica. Nell’immaginario comune scrivere sui muri rappresenta un illecito, soprattutto negli ambienti scolastici; liceo, università… Hai mai ‘disobbedito’ disegnando sui muri?

Il mio approccio nella realizzazione di street art si sublima in strada, ma è un lavoro che si sostanzia nella mia casa, dove progetto ciò che diverrà un’opera – in questa dimensione la frenesia dell’illecito comprometterebbe l’esito del mio lavoro. No, non eludo la legge per dar vita alla mia arte, ma rispetto chi ha invece avuto il coraggio di far diventare tela un semplice muro; graffiti e writing hanno teso la base per lo sviluppo e la consacrazione della street art come arte figurativa. Oggi, in Italia stiamo vivendo un periodo di fervore artistico che invita a una riflessione culturale e giuridica sull’arte di strada, in molti paesi è una cultura consolidata…


Nel 2016 hai realizzato un murales dedicato ad Alberto Sordi, dove lo hai raffigurato nei panni de Il marchese del Grillo. Poi hai scelto un altro grande artista del cinema romano come Carlo Verdone, che hai rappresentato in Furio, uno dei suoi personaggi più caratteristici. Hai raccolto l’eredità cinematografica romana e l’hai reinterpretata dandole nuova vita attraverso la street art. Progetti per il futuro ispirati al cinema?

Certamente, nutro una grande passione per il cinema, ereditata da mio padre. Raccontare Roma attraverso i massimi esponenti della romanità cinematografica ha significato molto per la mia carriera artistica. L’idea fu proposta dal Festival d’arte Pinacci Nostri, fui entusiasta fin da subito – considerando che nessuno aveva mai creato prima un’opera dedicata a due grandi artisti come Alberto Sordi e Carlo Verdone.

Con i tuoi ultimi lavori – il tributo al giocatore di basket Koby Bryant e la riqualificazione del playground di San Lorenzo – hai riscosso un successo internazionale. Hai voglia di raccontarci il moto di iniziazione di queste opere?

Il fil rouge fra queste opere è lo stile, tra figurativo, cubismo, futurismo e il grande utilizzo di forme geometriche che vanno a conferire dinamicità all’opera. Sono amante del basket, il murales tributo al giocatore Koby Bryant (coinvolto in un tragico incidente aereo con sua figlia Gianna Maria nel gennaio 2020) ha rappresentato per me un dovere morale; ho autofinanziato interamente il progetto, realizzando al Palatellene di Roma.

Il successo mediatico è arrivato persino oltreoceano. La popolarità dell’opera ha creato fertilità per i progetti a venire: sono stato contattato da Red Bull per la riqualificazione del campo da basket a Largo Settimio Passamonti, a Roma. Il playground di San Lorenzo ha una superficie di 800 metri quadri; osservando il parco dall’alto e la forma ellittica della piazza che lo accoglie, ho deciso di inserire la planimetria del Colosseo, per la sua ellisse – e per il tratto irripetibile e identificativo al cospetto della città di Roma. All’interno del Colosseo ho voluto raffigurare il giocatore nell’arte della schiacciata, simbolo iconico del basket. Per altro, è un’opera partecipata, i ragazzi – frequentatori abituali del parco – hanno contribuito attivamente alla realizzazione, conferendo al tutto un valore aggiunto decisamente virtuoso; ancor oggi, insieme a una squadra vigilante, si occupano della manutenzione del parco. La partecipazione al progetto li ha cristallizzati nell’appartenenza al luogo, dando vita a un fenomeno di rigenerazione urbana.

 Il tuo impegno, notevole, al servizio artistico dell’ urbanistica romana, e non solo. Un contributo solenne, come le tue opere. Grazie.

 

Sara Matteucci