Con il Concertone del Primo Maggio Piazza San Giovanni torna a trasformarsi in una passerella di artisti
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Sapete tutti cos’è l’armocromia, vero? Ormai spopola tra le star: si tratta di capire a quale stagione si appartiene, per risaltare meglio le proprie qualità fisiche, utilizzando i giusti colori. Ma sapevate che i romani avevano una considerazione tutta particolare dei colori?
Premessa generale: sapete che i colori non esistono? O meglio, le nostre definizioni dei colori sono legate alle nostre percezioni. Insomma, noi vediamo l’arancione, perché il nostro occhio, aiutato dalla luce solare, lo vede. Il cono di un raggio solare, percepito come bianco, è infatti composto di una serie di raggi a più colori. Pensate a come nasce l’arcobaleno: dalle goccioline sospese in aria, colpite dal sole! Fu il fisico e matematico inglese Isaac Newton, a fine seicento, a dimostrare per primo, grazie ad un esperimento di laboratorio, questo fatto. Egli scoprì che, un raggio di luce diretto su un prisma di cristallo, riusciva a riflettere sette colori, quelli dello spettro solare. Per questo, noi vediamo gli oggetti colorati: colpiti dalla luce, essi assorbono alcuni colori e ne riflettono altri; quelli riflessi sono quelli percepiti. Voi direte: ma allora se sono solo sette (un pò come i colli di Roma), perché noi percepiamo infinite sfumature? Questo accade perché i colori riflessi possono mescolarsi fra loro dando vita a numerose variazioni cromatiche.
Detto ciò, i romani, che forse di questo non erano proprio al corrente, ma vedevano bene i colori, amavano collegarli a dei significati. Vediamoli insieme!
D’altra parte, ogni popolo, in base alla sua cultura e all’ambiente in cui vive, ha la sua scala di colori e di sfumature. Potremmo dire si tratti di un lavoro di pertinenze e ognuno ha le sue: sapevate che gli eschimesi, ad esempio, utilizzano un’infinità di termini per differenziare il bianco? Non è un caso: costretti tutto l’anno a vivere nella neve, hanno la necessità di definire, anche linguisticamente, tutte le sue possibili variazioni. Per gli antichi romani, allo stesso modo, i colori assumevano dei veri e propri significati, diversi da quelli che noi oggi gli attribuiamo. Il blu e l’azzurro ad esempio non erano così di moda, considerati colori poco definibili. Questo derivava probabilmente, anche, dal fatto che fossero utilizzati dai barbari, come i galli. Se vi è capitato di vedere Asterix e Obelix, ricorderete i colori dei loro abiti. Così, anche a livello di lessico, il latino non prevedeva un termine che ne indicasse il pigmento. Di conseguenza, nascere con gli occhi blu non era visto di buon auspicio dai romani: per le donne era sinonimo di sfortuna, per gli uomini di bizzarria, di stranezza, quasi di ridicolo.
(Fonte: Romano Impero)
Come è visibile anche in ambito artistico, invece, il rosso era molto utilizzato dai nostri antenati. Questa scelta, oltre ad essere insita nella storia dell’origine di Roma, in quanto colore associato a Marte, padre di Romolo e Remo, quindi legato alla guerra e alla potenza, era molto amato. Lo stesso termine latino “coloratus“, oggi per noi “colorato” e utilizzato genericamente per indicare un oggetto di qualche colore, qualsiasi esso sia, veniva usato, al contrario, per dire che qualcosa era di colore rosso. Insomma, il rosso era IL colore per i romani, l’unico degno di questo appellativo. Perciò di questo erano numerose le sfumature catalogate, come il porpora, associato e riservato solo all’imperatore o a qualche altro membro di carica romana importante. Allo stesso modo, il giallo, colore dell’oro e della luce, era particolarmente apprezzato: non era raro intravederlo su alcuni abiti femminili, durante le cerimonie pubbliche. Infine, i colori più freddi e opposti di sempre: il nero e il bianco, rispettivamente “Niger“o “Ater” e “Candidus” o “Albus” erano legati uno alla morte e all’occulto, l’altro alla purezza.
(Fonte: Romano Impero)
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