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Si è fatto tanto discutere sui simboli dell’impero romano in uno dei nostri post e l’aquila, che fu uno tra i più importanti, è stato oggetto di grande confronto e discussione. Oggi con questo articolo proveremo a fugare i dubbio sull’utilizzo di questo simbolo da parte degli antichi romani.
L’aquila, insieme alla lupa, ai sette colli e a molti altri simboli legati alla storia dell’Impero romano, ha fatto la storia della Capitale, è innegabile. Nel nostro immaginario alla visione dell’esercito di Roma è associato sempre il vessillo dell’aquila imperiale con lo sguardo rivolto a destra. Il racconto della prima volta in cui venne utilizzato questo simbolo ce lo fa Dionigi di Alicarnasso, descrivendo il re Tarquinio Prisco in arrivo a Roma:
“le insegne della supremazia, con le quali essi adornano i propri re: una corona d’oro, un trono d’avorio, uno scettro con l’aquila alla sommità, una tunica di porpora con fregi in oro, e un mantello di porpora ricamato…”
Da questo momento in poi l’aquila entrerà a far parte dei simboli romani, in primo luogo come simbolo di un re. In seguito questo animale, anche insieme ad altri come la lupa, il minotauro, il cavallo e il cinghiale diventarono simboli delle compagini che andavano a comporre l’intero esercito romano.
Fu numerosi anni dopo che l’emblema dell’aquila prese possesso di tutto l’esercito. A darle questa dignità fu Caio Mario, valoroso generale dell’esercito romano e zio di Caio Giulio Cesare. La sua riforma militare mise a capo di ogni legione proprio l’insegna di un’aquila, poggiata su due fulmini. Questo stendardo veniva sorretto da un alfiere chiamato aquilifer ovvero il portatore di aquila. Da quel momento in poi ogni legione dunque aveva una persona, addetta a difendere lo stendardo del suo contingente anche a costo della vita. Quando infatti il simbolo della legione veniva perso o catturato dagli eserciti stranieri, la legione poteva essere disciolta e i suoi componenti ricoperti di vergogna e ignominia. Questo accadde non poche volte durante la storia di Roma, come durante la disfatta di Teutoburgo del 9 d. C., quando l’esercito romano perse ben tre aquile oppure nella battaglia di Carre nel 53 a.C. contro i Parti, quando Crasso, uno dei membri del primo triumvirato insieme a Cesare e a Pompeo, subì una clamorosa disfatta, rimanendo ucciso e perdendo le insegne di alcune legioni. La loro restituzione avvenuta nel 17 a. C. fu una grande vittoria diplomatica dell’imperatore Augusto.
L’impero romano, per lo meno quello d’occidente, cadde nel 476, con la deposizione dell’ultimo imperatore Romolo Augustolo, ma le insegne delle aquile continuarono a campeggiare nell’esercito romano orientale, in un altro modo. Infatti la parte superstite dell’impero adottò l’aquila bicipite ovvero con due teste, proprio a simboleggiare la duplice natura occidentale e orientale, dell’impero romano che si estendeva per la totalità del mediterraneo. Nel tempo questo simbolo venne adottato da diversi sovrani e casate importanti, cercando sempre una continuità con il potere di Roma, che rimaneva l’impero da eguagliare e superare. Così Carlo Magno utilizzò l’aquila imperiale come effige del suo Sacro Romano Impero e così come i successivi imperatori tedeschi, che la continuarono ad utilizzare, ritenendosi eredi di Roma. Essendo simbolo del potere imperiale, cominciò ad essere anche l’effige avversa al Papa, nel periodo della lotta alle investiture. Più avanti nel tempo l’aquila bicipite venne utilizzata anche dai sovrani di Austria e di Russia, la prima ritenendosi erede del Sacro Romano Impero, la seconda invece perché si sentiva la continuatrice di quello bizantino. Anche Napoleone non fu esente dal fascino dell’aquila imperiale, ma al contrario di quella romana che aveva il capo rivolto a destra, quella utilizzata anche durante tutta la durata del secondo impero francese aveva il capo rivolto a sinistra. Nessuno insomma ha saputo resistere al simbolo dell’aquila, che rimarrà in ogni modo il simbolo della forza delle legioni dell’esercito dell’impero romano.
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