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La Roma che conosciamo e ammiriamo, quella seicentesca, fastosa e monumentale in cui camminiamo col naso all’insù, rapiti da tanta bellezza, è stata in buona parte realizzata due tipi che si odiavano: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Coetanei, architetti, scultori, napoletano il primo e svizzero il secondo, riuscirono a detestarsi con una fermezza, un’ispirazione e una genialità senza confini. Fu un bene per Roma e per la storia dell’Arte, perché da quella rivalità scaturì il Barocco.
I grandi Papi del ‘600 – Paolo V (Borghese), Urbano VIII (Barberini), Innocenzo X (Pamphilj) e Alessandro VII (Chigi) – provenivano da famiglie romane dalle immense ricchezze e furono uomini colti e amanti dell’arte. Si circondarono di pittori, architetti, scultori e letterati con l’intento di riportare la Chiesa di Roma al centro della scena europea per mezzo di un programma di rinnovo urbanistico mai visto prima. Questi mecenati in mitra e ferula aprirono nuove strade, crearono piazze, collocarono fontane, costruirono nuovi edifici sacri e civili, rimodernarono, decorarono e portarono a nuovo splendore quelli esistenti.
In quella Roma del 1629, due geni trentenni, Bernini e Borromini, si incrociarono in Vaticano. Gian Lorenzo Bernini, pittore e scultore, era già ricco e famoso, di carattere estroverso, acuto e brillante, aveva fama di gaudente e dongiovanni (però poi si sposò ed ebbe undici figli) Seppe accattivarsi la stima di Papa Borghese che lo nominò direttore dei lavori della Basilica Pontificia. Francesco Borromini era un architetto rampante con un carattere ombroso, intollerante e piantagrane; era molto religioso, vestiva sempre di nero, non frequentava donne ed era assolutamente privo di rapporti sociali.
I due cominciarono a lavorare assieme in San Pietro: Gian Lorenzo, titolare del cantiere, stipendiato con 250 scudi, Francesco, suo assistente, pagato 25. Collaborarono per più di cinque anni, costituendo anche una società per l’approvvigionamento dei marmi. La rottura definitiva avvenne quando Borromini scoprì che il suo “socio” intascava una commissione extra – oggi diremmo un pizzo – su quei marmi. Furioso e indignato Francesco piantò in asso Gian Lorenzo e il Vaticano per mettersi in proprio.
Accettò l’incarico dei Padri Trinitari Spagnoli per la costruzione di un convento e un chiostro alle Quattro Fontane e per il rifacimento dell’adiacente Chiesa di San Carlo. Fu allora che meravigliò tutta Roma con la sua creatività, l’audacia delle forme e la ricchezza di decori di quel piccolo ma straordinario edificio sacro.
Con la morte di Urbano VIII e l’elezione di Innocenzo X (Pamphilj) si offuscò la stella del Bernini e il Borromini fu richiamato dal Papa per lavorare a San Giovanni in Laterano e a Piazza Navona dov’era la residenza dei Pamphilj e l’annessa Chiesa di Sant’Agnese. Fiero del sorpasso, mentre lavorava al collegio di Propaganda Fide in Piazza di Spagna, Borromini si divertì a deridere il concorrente, che abitava proprio lì di fronte, facendo scolpire sulle finestre delle voluminose orecchie d’asino. Per tutta risposta Bernini scalpellò nel marmo un grosso fallo e lo mise in bella vista sul terrazzo.
Gian Lorenzo riuscì a tornare nelle grazie del Papa con un superbo progetto per la fontana centrale di Piazza Navona, originariamente affidata a Borromini. Dal 1651 quell’ardito complesso scultoreo in travertino e marmo bianco, noto come Fontana dei Quattro Fiumi, svetta al centro della Piazza, di fronte alla borrominiana Sant’Agnese. Il tutto è sormontato dalla copia romana di un obelisco egizio e contornato dalle personificazioni simboliche dei fiumi dei quattro continenti conosciuti nel ‘600: il Danubio per l’Europa, il Gange per l’Asia, il Rio de la Plata per l’America e il Nilo per l’Africa.
La rivalità e l’astio che correva tra i due grandi artisti era diventata di dominio pubblico e a molti non parve vero di trovare nella fontana berniniana segnali di derisione all’odiato antagonista. In effetti, la statua del Nilo che si copre il volto – ad indicare che le sue sorgenti erano ancora sconosciute – sembra nascondersi dalla vista della facciata di Sant’Agnese; e anche il Rio de la Plata con il braccio alzato verso la chiesa del Borromini rimanda al gesto di uno sventurato che si protegge dal crollo della stessa.
Gli aneddoti sulla rivalità dei due geni si sprecano da secoli ma la verità rimane scolpita nella storia e nella pietra. Nel 1655 il nuovo Pontefice, Alessandro VII (Chigi), rimise in auge il quasi sessantenne Bernini che firmò la Cattedra di San Pietro, il colonnato della Piazza e la Scala Regia del Vaticano. Venne addirittura convocato a Parigi dal Re Sole per la sistemazione del Palazzo del Louvre. Borromini ormai fragile, solo e in preda a frequenti momenti di alienazione, nel 1667 decise di puntarsi la spada al fianco e lasciarcisi cadere sopra. Bernini gli sopravvisse 13 anni durante i quali, c’è da scommetterci, rimpianse spesso la mancanza di un tale rivale.
Immagini prese dal web
Sergio Grasso
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