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Nella vasta area rurale dell’Agro romano denominata Marcigliana dall’antica gens dei Marcelli che ne era proprietaria durante l’Impero romano, sorge uno degli edifici abbandonati più storicamente interessanti di tutta Roma. Vediamo insieme di cosa si tratta.
Compreso entro i quattromila ettari di verde della riserva naturale della Marcigliana, lo scheletro di quello che era l’Orfanotrofio femminile di Roma, in via Bartolomea Capitanio, tenuta Bufalotta, è certamente uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti dell’intera città. Imponente e fragile, questo gigante (cinque piani di circa duecento metri quadri l’uno, più una grande terrazza e due cortili) degli anni Trenta è stato fotografato, ornato, riconvertito, depredato in ogni modo negli ultimi anni, da quando ha smesso la sua funzione ed è divenuto un relitto di proprietà di nessuno. Divorato dai rampicanti e dall’incolta vegetazione circostante che un tempo era uno splendido parco ricreativo per le giovanissime ospiti dell’orfanotrofio, l’edificio è abbandonato all’incuria da quarant’anni. Ormai vuoto, saccheggiato via via di ogni suppellettile superstite, questo austero palazzone a rischio crollo attira per la sua posizione isolata i più vari tipi di visitatori: coppie in cerca di tranquillità, vandali, senzatetto, adolescenti desiderosi di misurare il proprio coraggio con una prova di resistenza tra le spettrali scale, che conservano appena le tracce di una ringhiera in stile liberty. Le cornici vuote delle porte scardinate, i vetri sfondati alle finestre, il campanile senza più le campane (rubate, anche quelle) contrastano con la bellezza contemporanea di alcuni dei dipinti murali con cui writers e graffitari hanno nel corso degli anni trasformato l’interno sventrato dell’enorme rudere razionalista.
La vita di questo imponente edificio comincia negli anni Trenta del Novecento, quando fu fatto costruire dal senatore Carlo Scotti, nella tenuta della Colonia Agricola Romana della Bufalotta, su terreni di proprietà del Pio Istituto della Santissima Annunziata di Roma e gestiti dai Padri Giuseppini. Inaugurata nel 1934 con una cerimonia presenziata da Benito Mussolini in persona, fino al Secondo Dopoguerra la struttura, gestita dalle suore della Carità, ha accolto bambine senza famiglia. A partire dagli anni Cinquanta, l’orfanotrofio divenne un ospedale geriatrico, sopravvivendo con questa destinazione d’uso fino agli anni Ottanta. Dalla chiusura ad oggi, l’ex orfanotrofio è sempre rimasto chiuso, lasciato a sgretolarsi e a venire inghiottito dalle piante, costituendo un naturale rifugio per fauna di genere vario. Una possibilità di recupero era balenata quando, in vista del Giubileo del 2000, era stata avanzata la proposta di riadattarlo ad ostello della gioventù: tuttavia, anche questo progetto sfumò senza neanche vedere mai la luce.
Comunemente ci si riferisce all’ex orfanotrofio anche come “ex manicomio”, ma in realtà la struttura non fu mai adibita a ospitare pazienti psichiatrici. La diceria nasce probabilmente dalla confusione con un altro luogo abbandonato, l’ex manicomio provinciale di Monte Mario, e con la finzione cinematografica. Nel 1977, infatti, l’edificio, all’epoca riconvertito in ospizio per anziani, compare nel film poliziesco La banda del gobbo: il regista Umberto Lenzi scelse la struttura per ambientarvi le scene di internamento del protagonista, rinominandola “Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà”. Indubbiamente, le voci si sono autoalimentate in quanto la presenza di malati di mente e di metodi poco ortodossi per curarli aggiunge un certo fascino gotico all’orfanotrofio in rovina. Ma non è nella pellicola con Tomas Milian che si è esaurita la fotogenicità del luogo: Dino Risi, Mario Monicelli ed Ettore Scola si servirono dell’allora ospedale geriatrico come set dell’episodio de I nuovi mostri in cui Alberto Sordi abbandona l’anziana madre in una casa di riposo.
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