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Andrea Prezioso, dal Much More ai palchi internazionali, la vita del dj


Andrea Prezioso nasce a Roma il 31 ottobre del 1967 e già da giovanissimo si appassiona al mondo della musica incrociando dj Wolfman Jack nel film American Graffiti; suo zio Umberto dj su Radio LazioLa Febbre del Sabato Sera Faber Cucchetti, che scopre sulla consolle del Much More il 14 febbraio del 1982. Fu un pomeriggio magico che cambiò la sua vita di quattordicenne…

Raccontaci quella tua fatidica, folgorante data nella mega discoteca in via Luciani

Era una domenica pomeriggio, il 14 febbraio del 1982, quando decisi con il mio amico Andrea Mari di andare per la prima volta ad ascoltare live un dj; lo avevo scoperto qualche mese prima, casualmente, su una tv locale che trasmetteva la domenica mattina la replica della famosa Top 25 Dance Music in onda in diretta il venerdi pomeriggio su Radio Dimensione Suono. Il dj era Faber Cucchetti. L’entrata della prima volta al Much fu simile alla visione all’epoca di Guerre Stellari: un’esplosione di colori, suoni, effetti luce, strobo, fumo, ma soprattutto la musica. Entrammo un’ora dopo l’inizio. Faber stava suonando Don’t Stop dei Firefly mixato con Burn Hard degli Chic e i bassi delle casse che ti esplodevano nello stomaco… “Slap your hands Bernard!”. Ovviamente la prima cosa che facemmo fu salire sulle rampe che portavano alla consolle e lì vedemmo Faber in azione. Quello che mi colpì subito era l’estrema sicurezza con cui dominava la consolle più bella della storia di Roma… e poi i cambi e ancora la musica, una energia mai provata prima. Patrick Cowley, Spinners, Chaz Jankel, Sugarhill Gang, Kool & The Gang, insomma l’Eldorado. Dopo qualche minuto sopraggiunsero mio padre e mia madre con mio fratello che non aveva ancora compiuto 11 anni e anche lui salì immediatamente sulla “balconata” dietro la consolle di Faber, e anche per lui fu subito una rivelazione. È difficile riuscire a spiegare oggi nell’era del Tomorrowland, dei festival, dei mega raduni dove i dj hanno pienamente sostituito le star del pop, cosa significava per un ragazzo di 14 anni entrare in quel posto ed ascoltare Faber nel 1982.

Poi inizia la tua carriera da protagonista nelle discoteche romane. Al Veleno affianchi Jovanotti e poi all’Hysteria succedi a Marco Trani. Com’era debuttare con certi nomi leggendari? Un aneddoto per uno…

Lorenzo lo conobbi tramite il fratello di un mio amico Chicco, che stava in classe con lui al liceo Malpighi. Mi chiese se volevo fare delle cassette mixate da mandare in onda su Radio Ram 102 da dove trasmetteva. Era il 1984. Poi nel 1986 mi chiese di fargli da secondo dj al Veleno. Mi ricordo soprattutto la sua passione per il rap e di quando gli portai l’intero testo di Rapper’s Delight, che conservavo da un giornale anni ‘70. Un aneddoto? Un giorno mi dice:

“Sai, sono andato a via Del Corso da Babilonia e ho sentito un vecchietto che guardando la vetrina ha detto – Ma guarda come vestono oggi ‘sti giovanotti”

…e da lì trovò il suo nome d’arte. È stato un dj di “rottura” musicale (suonava anche un ora di hip hop di seguito, al Veleno) e d’immagine. Con tutto quello che c’era stato prima a Roma, non era certamente poco. Il mio compito in serata era quello di sostituirlo dopo un paio d’ore e di dover tenere la pista senza svuotare fino a tardi quando ti capitava magari che ti pagassero con una mancia per suonare Barry White alle 5 di mattina. Una bella sfida…
Marco Trani l’ho vissuto meglio come dj quando lavoravo all’Aquafan di Riccione e lui al Pascià. La caratteristica che mi colpiva di più nella sua tecnica, era che i suoi cambi erano delle sequenze in tonalità che sembravano la prosecuzione stessa del brano che stavi ascoltando. Aveva un carisma ed una scelta musicale unica.
L’Hysteria, dove arrivai dopo un altro grande dj delle notti romane, Corrado Rizza, mi diede la possibilità di spaziare musicalmente in generi diversi anche perché all’epoca, nel 1989, la musica era incredibile. C’era stato l’avvento dei Soul II Soul, la nuova ondata hip hop con De La Soul e A Tribe Called Quest, e poi house, acid e la prima techno. In una serata riuscivi a proporre musica a 360 gradi.

Arrivarono gli anni ’90, spinti dalle prime feste rave con epicentro nel Lazio, ed eri fra i protagonisti. Quali di questi eventi ti diedero più soddisfazione? Cosa ricordi in particolare di quelle mega feste?

È stato un periodo magico. Roma per un paio d’anni è stata il centro della techno mondiale. Venivano da tutto il mondo a suonare qui: Joey Beltram, Frankie Bones, Speedy J, un ancora sconosciuto Aphex Twin… Ricordo il primo rave che feci, quello con AdamskiStop The Racism, in un capannone a Monterotondo con 5000 persone. Eravamo appena tornati con Lory D da Londra e avevamo dei dischi pazzeschi, tra cui primi vinili della mitica label canadese Plus 8 allora introvabili a Roma. Il primo disco che misi era Adrenalin degli NJoi. Fu incredibile… Poi sicuramente non posso dimenticare il primo Bresaola e l’Ombrellaro ideato da Luca Cucchetti, deus ex machina del movimento Rave romano.
Aneddoto: il disco James Brown is dead lo comprammo con Lory a New York (dove andammo a suonare al Building nel 1991 per l’Italian Rave, dove lasciammo la consolle ad uno sconosciuto dj dell’epoca: Sven Vath), nel tempio della garage musicVinylmania dove prendeva la musica Larry Levan. Il dj che faceva ascoltare i dischi nel negozio ce lo tirò addosso schifato. Noi invece portammo quel disco a Roma e divenne l’inno dei rave.

Quello fu anche il periodo in cui debuttasti nella discografia dimostrando grande fiuto con due storici titoli techno. Come nacquero?

Tetris nacque dopo che Lory suonò all’Ombrellaro un promo di una traccia inglese che conteneva per qualche secondo il giro del motivo del gioco. Eugenio Passalacqua, amico e anche lui dj all’epoca, mi guarda e mi fa: ”Lo dobbiamo rifare subito!”. Andammo da Davide Calzamatta e in un’ora il disco era pronto, lo portammo da Claudio Donato di Goody Music che lo stampò. Fu un successo, anche se poi diede vita a parodie di pinocchi e mazurke poco divertenti.
Dukkha? Il riff è opera del compianto Walter One che conobbi e subito portai da Luca Cucchetti a Radio Centro Suono. L’idea della partenza lenta mi venne riprendendo French Kiss di Lil’ Louis. Lo stampò Alvaro Ugolini con la X-Energy e anche quello funzionò molto.

Il 2000 fu un anno magico per voi, con hit sparse in tutta Europa. Dove avete riscosso più successi e in quali Paesi ti sei trovato più a tuo agio da artista?

Sicuramente in Germania e Austria, ma anche in Spagna ed Est Europa. Lì abbiamo fatto dei festival pazzeschi, dividendo il palco con star che per noi erano impensabili all’epoca: Mariah CareyBlack Eyed PeasEnrique Iglesias. Poi ci furono la Love Parade a Berlino nel 2000, il Danube Festival al Prater di Vienna e il The Dome ad Amburgo per la televisione tedesca RTL 2. Un bel periodo.

Che rapporto nacque con  Franco Battiato? Il vostro “Voglio vederti danzare” fu il disco dell’estate del 2003 in Italia e Spagna

Quel pezzo me lo ricordavo, ma era rimasto un po’ nell’ombra da quando  era uscito nel 1982 (anno ricorrente). Quando lo proposi, gli altri impazzirono e mio fratello ebbe l’idea di fare la cover, anche se la prospettiva di cantarlo in italiano all’inizio non mi piaceva, però aveva quell’inciso talmente forte che ci mettemmo subito a produrlo. La cosa più bella fu che Battiato, in un intervista su Rai 3, commentò dicendo che avevamo ripreso il suo brano “dandogli un vestito e un colore innovativo per l’epoca”. Detto da lui, sperimentatore assoluto dai tempi di Fetus, fu una bella soddisfazione.

Arrivando ai giorni nostri, il vostro trio si è ridotto ma prima del Covid avete addirittura aperto un concerto di Vasco Rossi a San Siro. Racconta come è nata l’occasione e come è stato esibirsi davanti a quella moltitudine

Sì, nell’estate del 2019. Willy Marano, personal di Vasco e nostro booking ufficiale, ci comunicò che avremmo aperto il concerto di Vasco Rossi a Milano. Sul palco furono 20 minuti incredibili, il pubblico conosceva tutti i nostri pezzi, è stata un’esperienza pazzesca avvenuta esattamente vent’anni dopo l’uscita di Tell Me Why.

Discoteche, produzioni e concerti non ti bastavano. Sei anche un vate della musica radiofonica, da anni con Radio Capital. Come ci sei arrivato? Che doti hai aggiunto al tuo bagaglio professionale?

Lavorare in radio e partecipare alla programmazione musicale è sempre stata un’idea che avrei voluto mettere in pratica. È un po’ lo stesso concetto che sta alla base del dj in discoteca, proporre musica mettendoci del tuo e tenere la pista. Poi Capital ha anche la predominante di lavorare con i classici di sempre alternati alle nuove proposte, che è il concetto che sta anche alla base del programma Capital Party, in onda  il ‪sabato sera‬ dalle 8 ‪a mezzanotte‬, dove passiamo dai Trammps a Purple Disco Machine, dagli Chic a Re-Tide (team di dj composto da Patrizio Mattei, Danny Omich e il sottoscritto con il quale facciamo remix di brani funky & disco), quindi riscoprendo brani del passato, magari in versioni remix, alternati a nuove proposte del circuito classic/house/funk/nudisco.

Fra i vinili della tua vasta collezione, a quali sei più affezionato?

Non sono un collezionista di vinili anche se ne possiedo più di 10.000. Ovviamente ricordo volentieri il primo disco acquistato da Consorti nel 1976, l’album dei Tavares Sky High o magari il primo giorno che entrai da Goody Music a Roma dopo aver fatto sega a scuola per comprare Backfired di Blondie.

Come ti collochi nella polemica con chi dice che adesso è troppo facile fare il dj rispetto all’epoca de Technics?

Sicuramente la tecnologia ha aiutato molto ma se hai il manico riesci in entrambi le situazioni. Tutto dipende sempre da cosa esce dalle casse.

Chiudiamo con un proposito. Visto che ormai i dj non invecchiano ed eri fra gli ospiti di riguardo in consolle nel party dei miei 60. Cosa e dove organizzerai la festa dei tuoi, che arriveranno fra sette anni?

A Roma, in via Luciani, 52. All’ultimo spettacolo del cinema Roxy affittiamo la sala e facciamo musica tutta la notte!

 

L’intervista è stata realizzata da Faber Cucchetti