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Claudio Casalini, il dj, produttore e grossista, una vita votata alla musica


Nella seconda parte dell’intervista a Claudio Casalini di martedì 15 settembre abbiamo rivissuto la Roma notturna degli anni ’70. Ora entriamo nei magnifici anni ’80, nelle mirabolanti avventure del dj romano, che oltre a far ballare in pista vendeva e produceva dischi di successo.

Hai segnato gli anni ’80 con alcune fra le più importanti produzioni italo disco. Come sceglievi gli artisti che poi lanciavi? Fa’ qualche nome…

Il lavoro della discoteca mi stava stretto, non mi bastava più. I dischi non volevo solo metterli, ma anche importarli, sceglierli, produrli, rivenderli, e volevo anche dare una mano ad un settore della discografia molto trascurato. Iniziai a lavorare a Città 2000 di Peppe Farnetti, negozio storico in viale Parioli dove divenni co-direttore. Importavamo direttamente dagli States, da Win records di Sam Weiss. Nacquero praticamente in quel negozio anche le prime associazioni di categoria grazie a Gianni Naso che fondò il Gruppo Dee-Jay Professionisti e poi l’A.I.D. Tutto a me sembra che sia avvenuto abbastanza casualmente. Io lavoravo a testa bassa senza talvolta rendermi conto di cosa stessi facendo, poi mi misi in proprio aprendo vari negozi di dischi come Best Record che nel 1982 divenne anche etichetta discografica. Il primo disco era una licenza francese “Saddle Up” di David Christie, ma poi arrivarono i Traks con “Long Train Runnin'” e subito dopo Gazebo con “Masterpiece” e fu un successone per tutto il movimento Italo-Disco. Noi dj-producers avevamo inventato un nuovo genere musicale. I nomi più eclatanti della mia piccola label erano Mike Francis, Natasha King, Ric FelliniMark Owen, Claudio Mingardi, DJ Look (Luca De Gennaro), FassariGegè Telesforo, Karl Potter, High Resolution, etc.

Di pista in pista, passiamo a quella d’atletica. Che ricordi ne hai?

Ricordi meravigliosi e una nostalgia pazzesca. Ora non corro più da secoli. Le gare minori le vincevo tutte. Correvo sia per la scuola che per la società; al mio liceo ero il secondo, c’era il campione italiano Ettore de Angelis, irraggiungibile! Poi correvo per la società, Libertas Campidoglio e lì ero terzo dopo Scialanga, una forza della natura. Andavo forte e vincevo in campestre perché le gare erano più lunghe. Diciamo che a livello regionale e nazionale ero tra i primi, arrivavo spesso secondo, quindi più che un vincente ero un “piazzato”, ma andava bene così; non come quella volta che sbagliai tattica di gara ed arrivai 2° alla Finale Nazionale Libertas. Fui un pollo, dovevo alzare subito il ritmo di gara, ma non sapevo cambiare marcia. Mi rifeci arrivando 5° Assoluto nel Gran Premio Mezzofondo. Ci davano una tavoletta di glucosio ed i soldi per il tram per tornare a casa.

Quali sono stati gli episodi più significativi delle tue svariate carriere professionali a Roma?

Non è facile ripercorrere a ritroso 50 anni di carriera. Senza dubbio avere un sogno, un obiettivo, poi raggiungerlo è molto gratificante. Il lavoro, la disciplina e… qualche idea nuova per la pista da ballo erano fondamentali. Le musiche per la prima sfilata di Valentino a via Gregoriana, quella per Rocco Barocco nel giardino estivo del Jackie O’ ancora le ricordo. La mia prima soirée all’estero in Grecia, dove sono stato poi per tre volte e che emozione quando mettevo “Cocaine” di Eric Clapton dal vivo e quando chiudevo la serata con lo storico pezzo di Melina Mercuri dal film “Mai di Domenica (Never On Sunday)” ed i Greci che mi abbracciavano piangendo. Anche ora che sto scrivendo il nome della fantastica interprete dei “I Ragazzi del Pireo” mi viene la pelle d’oca. Gino Woody Bianchi ne sa qualcosa che in Grecia è stato molto più di me. Nel terzo millennio ho fatto due tournée in Thailandia, sempre e solo musica ‘70-‘80, ma anche lì alle 4 di mattina arrivava la polizia e ci faceva chiudere.

Quella volta che Claudio Casalini fece ballare dei re e le star del mondo

Aver fatto ballare i Reali di Danimarca una sera al Gilda, ma pure David Bowie, Eddie MurphyQuincy JonesRod Stewart, sono altri momenti da incorniciare, e poi gli sportivi, gli uomini politici, gli attori i registi, Pelè ed EusebioTony Renis e Nikka Costa. Mi tornano in mente le serate a Saint Moritz con organizzatore Peppo Vanini, uno degli inventori della discoteca. Impossibile descrivere l’atmosfera che con il mio contributo si riusciva a creare. Nella serata “Flower Power”, al cameriere che lo stava servendo, il batterista dei Queen grida “Hey!!! Good Music!”. Che soddisfazione senza neppure sapere che Roger Taylor era lì. E poi giù mance a non finire. Ed ancora negli anni ’70 il suggestivo ricordo di una Giulietta Masina che al Miraggio di Fregene balla da sola “Singing in The Rain” di Gene Kelly mentre Fellini e Mastroianni stanno ancora cenando. Sono storiche anche le serate private organizzate nelle ville di nobili romani, come Ginevra Cavalletti de’ Rossi ma in particolare la più riuscita fu quella di Elena Pratolongo Corrado a Portofino. Mille invitati e sul palco solo Peppino Di Capri ed io. Solo la mancia fu di un milione! Potete forse immaginare quanto presi di cachet nel 1990 per mettere “La Pelle Nera” di Nino Ferrer ed i pezzi migliori di Aretha Franklin e Otis Reddings? Ma poi ci sono stati i trionfi al Paradiso di Rimini (con Gianni Morri), al Pacha di Riccione (con l’indimenticato ed ineguagliabile Marco Trani). Mi ricordo ora i giovedì universitari al Rolling Stones di Milano (tremila persone che su “Vengo Anch’io” di Jannacci strillano “No tu no!”. Ma anche Le Indie a Cervia (6.000 giovani il mercoledì) e poi il Quartiere Latino di Gallipoli (5.000 presenze tutti i giovedì) sono stati molto significativi. Anzi quest’ultimo locale mi ha chiamato poche settimane fa dopo 28 anni (una soddisfazione chiudere in bellezza così). Mentre scrivo altri momenti riaffiorano, ma bisogna pensare che sono stato in disco-consolle per 8.450 dj-sets in carriera. Per ottenere questi numeri devi lavorare 600 mesi! Ma che fortuna esser nato prima!!!

Quanto spendevi di bolletta telefonica? Si dice che nel tuo negozio di dischi, fosse più facile parlarti telefonando che di persona malgrado fossi lì a vista sul soppalco…

Facevo il grossista, il produttore e l’import-export di dischi in vinile, talvolta parlavo con il cliente un po’ in inglese, poi in francese ed infine anche in italiano o spagnolo. Qualcuno disse che avevo la bocca stereofonica. Le bollette mai meno di 2 milioni al mese per ogni numero, non c’erano i cellulari né Whatsapp, poi misi anche il telex.

In che periodo della tua vita hai fatto più vita mondana? Da cosa si distingueva la notte romana rispetto a quella di altre grandi città?

Quando ero giovanissimo, con le mie sorelle con cui uscivo tutte le sere. A 14-15 anni ero già alto 1.80, ma poi più crescevo e più problemi esistenziali avevo, tant’è che lasciai la scuola ed iniziai a lavorare. La notte romana?! Credo che non sia mai esistita e non per pochi. A Roma ad una certa ora tutto terminava e la gente andava ai bar notturni per il cappuccino e la brioche o a giocarsi la schedina del Totocalcio. Ma quando mai a Roma c’è stata vita notturna? Forse negli anni ‘60, quelli del boom. Anche Stazione Termini chiudeva ad una certa ora. Certo che se andavi all’Easy Going, che era un buco, trovavi il movimento, ma è pur vero che l’Alibi (e Faber Cucchetti ne sa qualcosa) è stato chiuso per quasi due anni! La folla del sabato sera non fa testo. Lunedì, martedì e mercoledì tutti morti in una città dove trionfa il pallone e le radio più ascoltate sono quelle che parlano della Roma e della Lazio. Ma la musica chi la fa? Pochi, ma buoni! Insomma fare le ore piccole al Notorius con Claudio Belfiore e le Sorelle Bandiera è divertente, ma non fa testo, Roma non è stata mai né Parigi, né tantomeno Londra. La risposta allo Studio 54 non l’hanno data certamente locali dove entravano 100-150 persone. L’unica vera risposta l’ha data casomai il Much More anche perché era l’unico locale che strutturalmente poteva permettersi di competere con lo Xenon e gli altri locali della grande mela.

Dj, produttore, grossista. Poi sei stato capace di non tradire le origini aggiungendo una nuova attività che svolgi via Internet, con estimatori in tutto il mondo.

Dopo un lungo letargo dovuto all’apparente morte del vinile ho capito che per comunicare con il mondo dovevo acquistare, vendere, confezionare pacchi e pacchettini. Cosa che faccio da otto anni con tre negozi virtuali. Ma anche questo non mi è bastato. Nel 2015 ho iniziato a ristampare vinili 12 inch in edizione limitata per pezzi storici degli anni ‘70 e ‘80 di musica soul, funk, boogie, disco, italo-disco. Parliamo di ristampe viniliche deluxe, impresse in Francia e distribuite in Inghilterra da Juno. Quasi cento titoli sono stati realizzati e venduti con lusinghiero successo. Anche per il 2020 penso di pubblicare circa venticinque titoli. L’ultima piccola perla è uno dei pezzi storici del repertorio italiano da discoteca: “Nell’Aria” di Marcella Bella. Sì perché nell’aria c’è il virus, ma c’è anche tanta voglia di respirare e di essere liberi.

Non bastasse, il tuo nome è riconosciuto anche fra chi gioca a Burraco. Spiffera tutto!

Come tutti sanno il terzo millennio ha portato degli anni di magra, soprattutto per le discoteche. Non sempre c’è stata la possibilità di lavorare al posto giusto nel momento giusto. A parte 7 anni di bistrot “Cafè Sinatra” realizzato con Jack La Cayenne ed inizialmente anche con il contributo di Marco Benenati e 16 mesi alle Distillerie Clandestine dove ho potuto mettere della musica bellissima, ho trovato nel gioco del burraco non solo il modo di tenere allenata la memoria, ma anche quello di correggere i propri difetti che il tavolo verde mette in evidenza mentre giochi. Io sono un’analista, ma manco di sintesi. Il  Burraco è un gioco semplice e forse anche stupido, ma è di velocità. Il mio difetto che spero aver curato era quello di procrastinare il gioco, rinviare di continuo la chiusura di una mano e puntualmente venivo punito. Tuttavia sono stati dieci anni interessanti ed assai diversi da tutto il resto della mia esistenza. Ho conosciuto gente semplice, di paese, ma con un cuore grande come il Colosseo. Indimenticabili i viaggi in tutta Europa e lungo la penisola, con la scusa del Burraco ho visto posti meravigliosi e fatto delle grandissime mangiate. Poi sono arrivati anche i trofei e con le coppe anche cospicue somme di denaro vinte in importanti tornei. Ed ho compreso che guadagnavo molto di più stando seduto giocando a carte che facendo il dj. Ora sono quasi tre anni che non posso più giocare perché mi alzo alle sei e mezzo del mattino e lavoro fino a quando non crollo, dopo cena. Sono dj, dettagliante, grossista, produttore discografico e distributore internazionale, ma sono anche un marito, un padre ed un nonno. Avrei bisogno che la giornata durasse 36 ore!!!

 

…l’ultima parte dell’intervista martedì 22 Settembre

 

Credits: Faber Cucchetti