Fulminacci, l’erede del cantautorato romano
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Dopo aver ripercorso le tappe essenziali della vita di Claudio Casalini (nell’articolo del 12 Settembre), adesso entriamo nel vivo della sua carriera e della vita notturna della Roma anni ’70.
Non molto, e Roma non l’ho scelta io, lei ha scelto me. Prima ho fatto mille lavori, anzi ho svolto contemporaneamente due o tre mezzi lavori. Ancora oggi è così, non ho mai creduto al posto fisso. Da ragazzo vendevo i gelati al cinema e le radioline a Porta Portese, poi ero il rappresentante della Mental, dopo il venditore di libri (parto dalle Edizioni Paoline ed arrivo alla Treccani). Ma poi chi non ha mai venduto i 15?, Ricordo gli atlanti tridimensionali di anatomia umana con Giancarlo Meo (discografico importantissimo che aveva sempre mille luminose idee). Poi sono andato a fare il “garzone” in una casa discografica: alla Dischi Parade di Carlo Rossi dove conobbi Gianni Mazza. Mi presentò all’etichetta del noto paroliere romano M° Gianni dell’Orso colpito dalla mia attività di public relations che svolgevo due o tre sere alla settimana nel locale sotterraneo a San Giovanni, il Tarattatà dove ho conosciuto i primi importanti musicisti della mia vita (Scoppa, Sanjust, Loffredo, Bruno Biriacoed altri). Ho vissuto a Rovigo, Napoli, Genova (nel 1966 lavoravo per il Fichel Club di Ginevra (Federazione Commerciale Elvetica), infine a Roma, a Londra e a Firenze. Con i libri ho vissuto anche a Civitavecchia e a Latina. Poi c’è stato anche il servizio militare. Facevo il dattilografo a Foggia ed a Bari.
Non avevo alcun personaggio di riferimento avendo la crème del mondo che mi ballava in pista. Io avevo solo Tonino, unico mio Maestro (poi ho imparato qualcosa sempre da tutti gli altri miei colleghi, certamente). Poi conobbi ed apprezzai molto Herbie Goins. Bisogna capire che al Jackie O’ io ho lavorato tutte le sere per 5 anni, compresa le sere di Natale (domandare ai camerieri se non era vero) perché eravamo a Via Veneto ed il Jackie O’ non poteva fermarsi. Solo il mese di agosto si chiudeva ed io dovevo la sera stessa recarmi di corsa a Civitavecchia per imbarcarmi per la Sardegna per suonare già il giorno dopo in Costa Smeralda (1975, con il gotha della mondanità mondiale).
Forse non ci siamo capiti; lavoravo e basta, facevo nastri e cassette a rotta di collo, incassavo milioni, non potevo e non volevo distrarmi. Talvolta mi vedevo con Bob Nunninger che lavorava allo Scarabocchio, ma non potei mai sentirlo. Lavoravo! Quando aprì Radio Elle (di Gianni Leuti), conobbi meglio Foxy John, Pier Maria Bologna, Clelia Bendanti. Poi quando Sergio Talia aprì Radio Luna conobbi Roberto Epifani, Francesco Acampora e tanti altri. Ma ripeto, non potei frequentare mai nessuno, tantomeno visitare discoteche per 5 anni, dal 1974 al 1978. Inoltre per la stagione estiva, avendo lasciato la Sardegna per Fregene, per tre anni a luglio e agosto oltre al Miraggio lavoravo anche a Lo Scricciolo di Palestrina. Non avevo neppure il tempo di mangiare.
Mi alzavo verso mezzogiorno, andavo al bar sotto casa per cappuccino e cornetto e poi iniziavo a fumare. 60-70 sigarette al giorno (fino al 1982, poi stop!!! Sarei morto). Il pomeriggio andavo da Babington a Piazza di Spagna con la Gazzetta dello Sport ed il Corriere della Sera, l’estate stavo al Sogno del Mare fino alle 20, il mare mi piaceva, il sole tantissimo, ora non più, poi il ritorno al tramonto a Piazza del Popolo da Rosati, di corsa per la doccia a casa, ristorantino veloce, economico in via Sicilia, poi al locale per provare i dischi e qualche cambio. Sempre lavati e sbarbati, anche spesso in cravatta. Consideravo fosse indispensabile trovare il materiale discografico da mettere. Ritenevo essenziali periodici come Cash Box, Billboard e Record World che con Alvaro Ugolini divoravamo, sempre alla ricerca della chicca, del titolo sconosciuto, della new entry da acquistare e giocare prima degli altri. Poi nel mio lavoro ritenevo indispensabile la piccola torcia elettrica poiché non ho mai usato il pre-ascolto al Jackie O’. Non c’era fino a quando non arrivò al posto mio Claudio “Mozart” Rispoli che si rifiutò di lavorare senza cuffia.
Io avevo una tecnica alquanto primitiva, ma che funzionava e funzionò per anni: usavo cambiare i dischi con la lucetta portatile (o un faretto puntato sulla testina del giradischi), che se era fulminata ero rovinato, perché usavo contare i solchi del vinile e quando un pezzo terminava sapevo esattamente quanti secondi durava la coda sfumata del pezzo, quindi lo lasciavo morire senza abbassare il volume che declinava da solo ed alzavo soltanto l’altro cursore. Tutto ciò avveniva perfettamente. Qualche cliente che saliva in consolle vedeva queste piccole magie ed esclamava “ma come c…. fai?”. Non nego che molte hits di quel periodo non mi siano arrivate per tempo, ma ero in clausura.
…la parte successiva dell’articolo venerdì 18 Settembre.
Credits: Faber Cucchetti
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