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Alle idi di marzo nell’Antica Roma si festeggiavano i Baccanalia, riti dedicati al dio del vino Bacco, a sfondo propiziatorio e con la massima ebbrezza fisica
Una delle festività che gli antichi romani ereditarono dai greci furono i Baccanalia, propiziatoria in occasione della semina e della raccolta delle messi. Intorno al II secolo a.C. si diffonde a Roma il culto di Bacco, associabile a quello di Dioniso in Grecia. Si trattava di un culto misterico con una funzione religiosa privata, votata alla frenesia sessuale, e una pubblica con opere teatrali, sia tragedie che commedie satiriche. Spesso coinvolgevano popoli diversi di un territorio che si riunivano per più giorni in un luogo simbolo in cui erano praticati anche sacrifici animali.
Tito Livio è la principale fonte letteraria romana sui primi baccanali e sostiene che la prima forma della festività era aperta alle sole donne e si svolgeva durante tre giorni dell’anno, alla luce del giorno e sarebbe stato il momento migliore per commettere delitti per il fatto che le molte grida e il suono degli strumenti facilitavano nascondere un crimine a Roma. Le pratiche sessuali erano anche un modo per festeggiare il ritorno dalla transumanza dei pastori, oltre che finalizzati alla propiziazione.
Ben presto queste festività attirarono l’attenzione della popolazione e furono viste come pericolose per l’ordine morale e sociale, date le voci che circolavano sulle violenze estreme su uomini e animali che vi si praticavano. Nel 186 a.C. un’indagine da parte del Senato portò a uno scandalo che ebbe come conseguenza una profonda riforma dei baccanali. Furono decretati la distruzione dei templi, la confisca dei beni, l’arresto dei capi e la persecuzione degli adepti. In seguito i baccanali sopravvissero come feste propiziatorie, ma senza più la componente misterica, soprattutto nel Sud Italia.
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