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Dall’aspetto di un giovane imberbe, la chioma ricciuta di Apollo è quasi sempre coronata da un ramo di alloro, il premio che spettava ai vincitori delle Olimpiadi e simbolo di vittoria.
Simbolo solare, dio dell’ordine e della bellezza, patrono della musica, della poesia e del canto, ma anche della divinazione, della scienza medica e dotato del potere di causare o allontanare pestilenze… stiamo parlando di Apollo, uno degli dei principali del pantheon greco-romano. Figlio di una relazione extraconiugale di Zeus o Giove con Latona, secondo il mito Apollo vide la luce sull’Isola di Delo appena emersa dalle acqua (anzi, ancora galleggiante sull’acqua, poiché Era o Giunone, gelosa del marito, scagliò su Latona un maledizione che le proibiva di partorire sulla terraferma). Fratello di Artemide o Diana, dea della luna e della caccia, Apollo, come la sua gemella, è un ottimo arciere, tanto che uno dei suoi epiteti presso i romani era Arcitenens, “colui che porta l’arco”. In contrapposizione ad Artemide, Apollo si identifica con il sole (fino a soppiantare la personificazione greca di esso, Elio) ed è perciò detto Febo, letteralmente “splendente” o “lucente”, in riferimento tanto alla sua bellezza androgina che al suo legame con il sole. Sebbene i romani abbiano assimilato Apollo nella loro religione traendolo dalla cultura greca, le origini del dio sono molto più oscure di quanto si possa pensare. Sarebbe infatti da ricercare nell’area siro-palestinese l’origine, antichissima e misteriosa, del culto di questo dio Sole, conosciuto col nome di Aplu già nel V secolo a. C., ben prima dell’importazione greca, dai popoli italici e dagli Etruschi.
Il culto del dio Apollo a Roma fu accolto dal modo greco con tutte le caratteristiche che gli erano proprie, entrando a far parte del pantheon latino in epoca molto antica: già in epoca regia, infatti, è attestata la sua presenza. A Roma ci si riferiva ad Apollo anche con l’appellativo di Averruncus “colui che tiene lontano il male”, in quanto protettore della medicina e dotato di poteri taumaturgici. Uno dei primi templi edificati in suo onore, in effetti, faceva leva su questo aspetto della divinità: in occasione di una pestilenza che afflisse la città, con lo scopo di propiziarsi il dio affinché la allontanasse dalla comunità, a Roma fu costruito nel 430 a. C. il tempio chiamato Apollinar. Vennero successivamente istituiti dei giochi quinquennali in onore di Apollo-Elio, i Ludi Apollinares. Il culto venne incentivato in epoca imperiale per consolidare il potere centrale: a partire dall’imperatore Ottaviano Augusto (per volere del quale il poeta latino Orazio scrisse il Carmen Saeculare, dedicato ad Apollo), che fissò la consuetudine per la quale l’imperatore, alla maniera orientale, veniva visto come discendente del dio Sole, si arrivò lentamente (fino circa alla conversione al cristianesimo di Costantino I) a un’identificazione totale tra Apollo e la figura dell’imperatore, al quale spettava così la medesima adorazione pubblica riservata agli dèi. Addirittura i primi riferimenti per le raffigurazioni di Cristo furono tratti dall’arte pagana, realizzate facendo un calco dell’iconografia classica di Apollo-Sole.
Dall’aspetto di un giovane imberbe, la chioma ricciuta di Apollo è quasi sempre coronata da un ramo di alloro, il premio che spettava ai vincitori delle Olimpiadi e simbolo di vittoria. All’alloro è legato anche l’episodio della ninfa Dafne, splendidamente interpretato nella scultura marmorea di Bernini, oggi conservata presso il museo di Galleria Borghese. Non ricambiando l’amore di Apollo, la ninfa, per sfuggirgli, ottenne dai suoi genitori (la naiade Creusa e il dio fluviale Ladone) di essere salvata: tramutò in una pianta di alloro (“dafne” è, in greco antico, il “lauro” o “alloro”).
Spesso rappresentato con una faretra in spalla, l’attributo iconografico con cui spesso si vede raffigurato Apollo è la cetra o la lira, strumento musicale apollineo per eccellenza, in quanto emette un suono delicato, piacevole e disciplinato.
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