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Con la promulgazione, il 10 maggio del 1297, della bolla pontificia “In excelso throno”, papa Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, scomunicò i cardinali Giacomo e Pietro Colonna. Lo stesso giorno i due cardinali avevano firmano il cosiddetto “manifesto di Lunghezza”, che esponeva tutte gli illeciti di cui era accusato Bonifacio VIII. Ma come si giunse a questo punto? E come si concluse l’inimicizia tra Caetani e Colonna?
Personaggio controverso e dalla personalità dispotica, papa Bonifacio VII aveva provocato con le sue azioni l’insorgere di un certo malcontento, sia all’interno della Curia sia tra le famiglie patrizie di Roma, divenendo costantemente oggetto di congiure e furiose dimostrazioni di ostilità. L’accusa più dura mossa nei confronti di Bonifacio VII era, però, quella di non aver avuto un accesso regolare alla curia e alla carica di pontefice: la sua elezione, secondo i detrattori, era da considerarsi nulla poiché effettuata tramite illeciti. In particolare, il problema era l’irregolarità dell’abdicazione che portò all’elezione del nuovo papa: Bonifacio VII circuì il suo predecessore, Celestino V, e lo minacciò per costringerlo ad abdicare. I principali promotori della feroci accuse erano i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, zio e nipote appartenenti alla nobile famiglia storicamente rivale dei Caetani, stirpe alla quale proprio il papa apparteneva.
Tra antichi rancori e dispute religiose, l’ostilità culminò nel maggio 1297: con il Manifesto di Lunghezza, lungo memoriale e vero e proprio atto di denuncia di danni del pontefice, i Colonna e gli Spirituali Francescani sottoscrissero e misero in luce tutte le nefandezze di cui Bonifacio VII si era macchiato; su tutte, l’illegalità del suo accesso alla carica di pontefice. Il preludio a uno scisma era chiaramente esposto nel documento, ove il papa veniva dichiarato decaduto e si alludeva alla sua auspicabile deposizione. Anche Jacopone da Todi, poeta molto vicino agli ambienti degli Spirituali, sostenne il punto degli avversari del pontefice Caetani: in una delle sue odi lo definiva addirittura “novello anticristo” e invitava i fedeli a disobbedire all’autorità papale, in quanto corrotta e abietta. La reazione di Bonifacio VII fu tempestiva: lo stesso giorno, appunto il 10 maggio, la scomunica si abbatté sui due cardinali, sugli Spirituali Francescani e su Jacopone da Todi, cioè su coloro che avevano osato sottoscrivere il manifesto infamante. Nella bolla, “In excelso throno”, Bonifacio VII dipinse a tinte fosche un ritratto dei Colonna, famiglia di intriganti e superbi, inclini al disprezzo delle cose altrui e per questi motivi meritevoli a loro volta di disprezzo e, perfino, dell’annientamento.
Il mese successivo fu un convulso susseguirsi di manifesti rivoltosi e anatemi papali. Il 16 maggio, un secondo manifesto richiedeva che a Bonifacio VIII venissero contestati tutti gli illeciti davanti a un consiglio generale della Chiesa. Il 23 maggio 1297 la scomunica del papa fu estese ai cinque nipoti di Giacomo e ai loro eredi, per mezzo dell’emissione di una nuova bolla papale, la “Lapis abscissus”. I due cardinali ignorarono le bolle papali e si prepararono per la difesa delle loro fortezze, denunciando ancora una volta la condotta scorretta del papa. Tuttavia, fu la parte dei Colonna a soccombere: le loro speranze di uno schieramento a loro favore da parte del re di Francia, Filippo IV Capeto detto il Bello, andarono in fumo.
La destituzione dai loro incarichi cardinalizi fu così violenta da comportare una fuga in Francia e la confisca dei beni, che furono suddivisi tra gli Orsini del ramo di Castel Sant’Angelo e i Colonna del ramo di Genazzano –in ripicca ai propri congiunti, con i quali preesistevano attriti.
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