Conference League: la Roma vola in finale
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Che esistessero dei giochi nell’antica Roma è indubbio. Di recente, però, abbiamo scoperto l’Harpastum: a cosa corrisponderà esattamente? Al moderno calcio o al rugby?
L’harpastum, noto anche sotto il nome di harpustum, era un suggestivo gioco atletico sferistico praticato dagli antichi romani. Chiamato da molti “gioco della palletta” lo sport prevedeva, appunto, l’utilizzo di uno strumento sferico, la palla. Quella impiegata, in particolare, era di piccole dimensioni e corrispondeva, più o meno, ad un moderno pallone da calcio o da pallamano. Come per altre usanze, i nostri antenati avevano importato questo gioco di squadra dall’antica Grecia: lì erano venuti a conoscenza di questo suggestivo allenamento ludico, durante le campagne di conquista del II secolo a.C. L’origine stessa del nome, infatti, derivava dal verbo greco harpázō, ovvero “strappare via, portare via”, in riferimento all’atto del rubare la palla all’avversario. Divenuto presto parte integrante dell’attività fisica dei gladiatori e dei legionari, il gioco si diffuse, poi, all’interno di tutto l’impero, tanto che, nel corso di qualche spedizione, non era raro assistere ad una partita fra romani e popolazioni autoctone. Una della più famose fu la partita contro i britannici e vide prevalere i “barbari” col punteggio di 1-0.
Le regole di questo speciale sport di gruppo sono, tuttora, molto vaghe, non potendo disporre di una documentazione in merito. D’altra parte, neanche anticamente esistevano precise norme di gioco, o almeno, queste non erano comunemente condivise: ognuno decideva come giocare l’Harpastum. Quel che è certo è che si trattava di un’attività sportiva molto cruenta: dalle fonti storiche, pare che le partite si disputassero tra rapidi passaggi, mischie concitate e scontri corpo a corpo, spesso causa di gravi ferite (o addirittura decessi). Lo scopo era quello di portare la palla, riempita di lana o stoppa, oltre l’estremità del campo avversario e questo procedere verso il traguardo richiedeva, ovviamente, l’affronto di più giocatori. A sua volta, il campo, essendo uno spiazzo di terra semplice e senza erba, causava nell’aria una costante nuvola di polvere, perciò molti amavano chiamarlo Pulverulentus: tra feroci contrasti e nebbia scura, l’Harpastum poteva somigliare ad una vera e propria lotta.
Ora, immaginando la scena, tutto farebbe pensare ad un vecchio parente del calcio fiorentino, padre del nostro calcio. Tuttavia, la facile conclusione non convince tutti: secondo alcuni, infatti, l’Harpastum ricorderebbe nei fondamentali il gioco del rugby.
A parte le testimonianze di una linea media e due linee di meta a conferma della leggera similitudine, la modalità stessa de l’Harpastum sembrava, a tutti gli effetti, un antico eco al football americano, certo, tenendo conto di qualche “leggera” differenza. Mentre nell’harpastum, ad esempio, ogni giocatore doveva essere in grado di attaccare, difendere, placcare, ecc… nel rugby esistono ruoli ben definiti, nello specifico divisi in “avanti” e “trequarti”. Nell’harpastum, inoltre, non vi erano schemi e nell’afferrare un compagno non erano previste regole sul come e il dove. Nel rugby, al contrario, il placcaggio è una pratica premeditata e studiata, non dettata dal caso e, soprattutto, provvista di una condizione indispensabile: solo chi ha la palla viene bloccato. Ultima dissonanza è rappresentata dal punteggio: nell’antico gioco romano, la meta corrispondeva ad un punto soltanto; nel rugby, raggiungere la linea finale avversaria, equivale a cinque punti.
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