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Il mito di Proserpina, il mese dedicato a Marte e Roma nell'equinozio di primavera


Come larga parte dei popoli antichi infatti anche per i romani l’inizio del nuovo anno non era a gennaio, ma a marzo in contemporanea con la rinascita della natura, con lo sbocciare della primavera e con la possibilità di ricominciare a guerreggiare, c’è ancora un cosa che ci portiamo dietro da questa usanza, sapete qual è ?

L’equinozio a Roma nel Pantheon

L’equinozio è quel fenomeno astronomico che si verifica due volte l’anno (a settembre con l’entrata dell’autunno e a marzo con quella della primavera) e che divide il giorno in due parti perfettamente uguali. Questo termine infatti deriva dalla parola latina aequinoctium, composto dalle parole aequa e nox, che significa notte di uguale durata al giorno. In questo particolare momento dell’anno infatti le ore di buio e quelle di luce sono le stesse e, astronomicamente parlando, in questo momento si entra nella bella stagione, in primavera. Nel Pantheon, forse la costruzione più imponente dal punto di vista simbolico e architettonico che abbiano costruito i romani, in questo giorno alle 12, il sole entra dal foro centrale della cupola e risplende sul tamburo posto al di sopra del portone, considerato concettualmente dai romani, l’equatore, su cui poggiava la cupola ovvero la volta celeste.

Il mito della rinascita e la storia di Cerere e Proserpina

Questo ritorno alla luce per gli antichi, che vivevano molto più a contatto e in simbiosi con la natura, rispetto ai nostri stili e ritmi di vita, significava sostanzialmente un ritorno alla vita, dopo le tenebre prolungate dell’inverno e la morte nei campi. Dal punto di vista mitico, il ritorno eterno di questo ciclo è giustificato e raccontato nella storia del ratto di Proserpina. Quest’ultima, figlia di Cerere, dea dei raccolti, fu rapita da Plutone, divinità romana considerato re degli inferi, che ne fece la sua regina. La madre disperata, non trovandola più diede luogo a una terribile carestia sulla Terra, dove non fece germogliare più nulla. Giove, il re di tutte le divinità e complice del rapimento operato dal fratello, capì che l’unica soluzione possibile era quella di restituire Proserpina a Cerere. Plutone però che ormai, come si suol dire a Roma, c’aveva fatto la bocca, prima di inviare nuovamente sulla terra sua moglie, le fece mangiare un chicco di melograno, che la legò per sempre al regno degli inferi. Così Proserpina poté tornare sulla terra ma solo per sei mesi l’anno, quei sei mesi in cui Cerere, secondo i romani, permetteva alle piante e ai fiori di germogliare e portare frutti; per i rimanenti sei mesi invece, quelli autunnali e invernali, periodo in cui Proserpina secondo il mito tornava negli inferi, sua madre Cerere abbandonava i campi facendo morire tutta la vegetazione.

Marzo, il mese della vita e primo dell’anno per i romani

Grazie quindi al ritorno di Proserpina sulla Terra, il mese di Marzo, che simboleggia la rinascita era il primo calendario romano. In questo nuovo ciclo che cominciava, si poteva tornare a lavorare nei campi, ad avere più luce durante il giorno, a godere di un clima più mite e quindi tornare anche a guerreggiare. Per questo e altri motivi, il mese di Marzo era dedicato a Marte, poiché tra le divinità romane era colui che poteva considerarsi il vero e proprio progenitori di tutti i cittadini romani, essendo il padre di Romolo e Remo. Questa divinità, oltre ad essere era considerata patrona della guerra lo era anche della natura e della fertilità della terra, basti pensare al mito preromano della divinita Mavor (da cui discende Marte), generato da Juana (poi diventata Giunione) toccando la terra con un dito.

L’antica usanza che ancora abbiamo dall’antichità romana

Proprio da quest’usanza romana di avere Marzo come primo mese dell’anno, deriva il nostro costume di avere come primo segno zodiacale quello dell’ariete. La primavera per gli antichi astrologi infatti era segnata anche dall’entrata del sole all’interno della costellazione dell’ariete, che così di rimando è diventato il primo segno zodiacale.