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Il calendario che utilizziamo ai giorni d’oggi è quello gregoriano, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582, che in realtà però non è altro che un aggiornamento del grande lavoro fatto dagli antichi romani, in particolare nel periodo di Giulio Cesare per allineare in maniera definitiva le stagioni ai mesi dell’anno, scopriamo meglio com’è andata!
Prima dei romani a prevedere un calendario con 12 mesi c’erano stati i nostri soliti cugini greci, con il calendario attico, utilizzato ad Atene appunto e che prevedeva mesi di 29 o 30 giorni. In Grecia però la situazione era abbastanza complessa poiché ogni città utilizzava un proprio calendario, senza mai raggiungere un’unità sostanziale. Questo sistema di misurazione dell’anno si basava sui cicli della luna, ma ogni tanto, per riallineare i mesi con le stagioni si doveva introdurre un mese intercalare. L’inizio del loro anno non era come per noi a gennaio, ma con la prima luna nuova dopo il solstizio d’estate quindi tra la fine di giugno e gli inizi di luglio. Anche i loro mesi avevano nomi completamente differenti dai nostri, il primo ad esempio si chiamava Ecatombeone, ecco invece come si chiamavano gli altri mesi e le corrispondenze con i nostri:
Il primo calendario documentato utilizzato nell’antica Roma invece è quello denominato il Calendario di Romolo. Anche questo era basato sui cicli lunari e a differenza del precedente greco, era diviso in 10 mesi. Il suo inizio era fissato a Marzo con fine a Dicembre. Da questa composizione dell’anno probabilmente aveva origine anche la cerimonia del Regifugium ovvero quando il Re dei Sacrifici se la dava a gambe levate. L’anno dunque era composto di 304 giorni e gli altri 61 che “avanzavano”, non erano affatto assegnati. In quel tempo si viveva senza avere il riferimento di un mese preciso.
A definire questi giorni mancanti ci pensò subito dopo il secondo dei sette re di Roma, Numa Pompilio, dando un nome a quei giorni senza padrone. Aggiunse dunque gennaio e febbraio, ma anche qui i conti tornavano poco e ogni tanto infatti, veniva aggiunto un mese intercalare come in Grecia, chiamato mercedonio, per ristabilire la connessione tra i mesi e le stagioni. Tutto ciò avveniva all’interno di febbraio, uno o due giorni dopo i Terminalia. La decisione di questo inserimento però spettava sempre al pontefice massimo. Ecco la divisione del calendario di Numa:
Arrivati all’età di Giulio Cesare la situazione era un po’ sfuggita di mano, tanto che i mesi che dovevano corrispondere all’inverno si trovavano in corrispondenza dell’autunno. Quando divenne pontefice massimo, Giulione incaricò un astronomo alessandrino di nome Sosigene, di rimettere a posto il calendario romano, che era ormai andato fuori di 67 giorni, mica uno. Così per rimediare, all’anno 46 a. C. furono aggiunti due mesi, facendo durare quell’anno ben 15 mensilità. Così lo storico Svetonio racconta la riforma del calendario:
«Rivòltosi poi a riordinare lo Stato, riformò il calendario, che già da tempo, per colpa dei pontefici – mediante l’abuso di inserire giorni intercalari – era talmente scompigliato, che il tempo della mietitura non cadeva più in estate e quello della vendemmia non più in autunno. Regolò l’anno sul corso del sole: esso fu di trecentosessantacinque giorni, e, eliminato il mese intercalare, si inserì un giorno ogni quattro anni. E perché in avvenire, a partire dalle successive Calende di gennaio, il conteggio del tempo fosse più preciso, tra novembre e dicembre inserì altri due mesi; con ciò, l’anno in cui si fissavano queste innovazioni fu di quindici mesi, compreso quello intercalare che, secondo la vecchia norma, era caduto in quell’anno.»
Nella riforma finale i dodici mesi non furono toccati, ma il mercedonio, fu eliminato. Venne introdotto l’anno bisestile e il primo imperatore di Roma, Augusto, rinominò i mesi di Quintilis come Iulius in onore di Giulio Cesare (da cui il nostro luglio) e Sextilis ribattezzato come Augustus (da cui il nostro aogsto) in onore proprio dell’imperatore Ottaviano.
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