“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Istituiti da Romolo, gli Equirria erano un’altra delle numerose festività romane. Perché si svolgevano? Chi poteva parteciparvi?
Una volta, per divertirsi, non c’era bisogno di molto: bastava un cavallo, un pò di vino, cibo in abbondanza e ce semo tutti ah Pomà, vai cor tango!
Tra tutte le popolazioni, ovviamente, il popolo romano non faceva eccezioni e allora a fine febbraio, precisamente oggi, ecco che s’aprivano gli Equirria, ripetuti di nuovo il 14 di marzo. Di cosa si trattava? Indetti in origine dal primo re di Roma, Romolo, questi caratteristici ludi antichi, in onore del dio Marte, secondo la leggenda padre dei gemelli, prevedevano suggestive corse di cavalli, come suggerisce l’etimologia del termine, dal latino equicurria.
(Fonte: Capitolivm)
I fantini non dovevano far altro che raggiungere Campo Marzio, allóra fuori dai confini sacri del Pomerium, e il gioco era fatto, tra polvere, grida e applausi. Proprio in quel luogo, infatti, poco distante da quelle che sarebbero divenute in futuro alcune delle attrazioni principali della città (Piazza del Popolo, Piazza di Spagna e il Pantheon), pare si trovasse il famoso Trigarium di Roma, una sorta di campo d’allenamento alle gare equestri.
Ora, per parlare degli Equirria si potrebbe utilizzare anche il detto co’ ‘na fava du’ piccioni, e per una precisa motivazione. Se da un lato, infatti, il risvolto ludico della celebrazione era dietro l’angolo, dall’altro si piazzava sicuramente il suo scopo funzionale. In altre parole, la festività non aveva solo il ruolo di intrattenere il pubblico, ma quello di educare. Finalità propedeutica degli Equirria era, infatti, la preparazione dei giovani che, di lì a breve, si sarebbero apprestati alla carriera militare, varcando le fila dei legionari.
(Fonte: Verde Azzurro – Notizie)
D’altra parte, l’animo dei romani poteva definirsi piuttosto battagliero. Per questo motivo, i festeggiamenti erano dedicati alla divinità della guerra. Avviare pubblicamente l’addestramento di cavalli e uomini diventava allora necessario. Ancor di più se, a questo, si aggiungeva una postilla sul periodo: da calendario, infatti, le escursioni dei soldati romani sarebbero iniziate poco dopo, con l’avvento della primavera.
La competizione degli Equirria, insomma, era un appuntamento importante, per Roma e per i suoi fanciulli e sarà facile per voi, immaginarne la confusione e il fasto. Soprattutto, vi sarà facile immaginarne il subbuglio alla parola: “scommesse!” ché, se i cittadini romani avevano una grande passione, poteva chiamarsi proprio “passione per il gioco d’azzardo“, in ogni sua forma. In particolare, durante questa festa, scommettere diventava una vera mania per il romano che, già nel famoso detto panem et circenses (pane e giochi), tradiva quotidianamente la sua inclinazione.
(Fonte: Wikipedia)
Così, mentre qualcuno a poca distanza s’allenava con l’harpastum, sugli spalti ben in vista del Trigarium qualcun altro puntava tutto su bighe, trighe e (raramente) quadrighe. Pe falla breve, da quarche parte “Febbre da cavallo” doveva pur nasce’, così come il Passatella da osteria, e vi diciamo di più! In fatto di mandrakate, manco gli imperatori scherzavano. Se Augusto arrivò a perdere 20 mila sesterzi in un giorno, Claudio si distinse fra tutti, facendosi costruire un apposito carro personale, utile sì agli spostamenti, ma munito di tavola da gioco – sia mai avesse avuto voglia di una partita coi suoi amati dadi!
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