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Tutti sappiamo, chi più, chi meno, la leggenda o meglio le diverse versioni della leggenda che portarono alla fondazione della città di Roma, da parte di Romolo e del suo gemello Remo, ma quale fu la morte del primo Re della Capitale?
Figlio di una delle più importanti sacerdotesse dell’antichità, Rea Silvia e del dio della guerra Marte, Romolo, come anche suo gemello Remo, era destinato ad avere una vita epica e sicuramente destinata all’eternità. La leggenda vuole infatti che a vent’anni, passando purtroppo anche per l’omicidio del fratello, quest’uomo fondasse una città che rimase punto di riferimento per tutta la durata della storia del mondo occidentale, per la sua potenza, per la sua potenza evocativa, per la sua bellezza. Il suo regno durò 38 anni, molto a lungo per l’epoca in cui visse e sempre la leggenda ci tramanda come agli inizi di luglio (il 5 o il 7) del 716 a. C. Romolo morì, o meglio sparì. Infatti se la storia della cesta e dell’allattamento da parte di una lupa è famosa e stampata nella mente di tutti quella della morte del primo Re di Roma, è un evento avvolto nel mistero, su cui si stende l’ombra di un omicidio.
La leggenda racconta infatti che mentre Romolo era in un adunanza nella Palude delle Capre, che si trovava nel luogo dove poi sorse il Campo Marzio, Romolo fu avvolto dalle nubi di una tempesta che lo portò in cielo tra gli dèi romani. Così racconta Plutarco nella sua Storia di Romolo:
La luce del sole si sarebbe offuscata, sarebbe calata una notte che non era placida né serena, ma agitata da terribili tuoni e scossa da ogni parte da raffiche di vento e da pioggia scrosciante. Allora la folla, che era accorsa numerosa, si sarebbe dispersa, mentre i potenti si radunarono l’uno accanto all’altro; quando la bufera cessò e tornò la luce, il popolo convenne nel luogo di prima alla ricerca del re, pieno di rimpianto; ma i potenti non permisero che si affannassero a cercarlo; invece invitarono tutti a onorare e venerare Romolo poiché era stato innalzato tra gli dèi: da buon re sarebbe divenuto per loro un dio propizio.
Anche Tito Livio, il famoso storico romano, concorda su questa storia, aggiungendo inoltre un altro particolare nella suo scritto Ab Urbe Condita:
Infatti Proculo Iulio, mentre la città era angustiata per la nostalgia del re ed era ostile ai senatori, si fece avanti nell’assemblea come autorevole testimone di un fatto pur straordinario. “Romolo – disse – o Quiriti, padre di questa città, alle prime luci dell’alba di oggi, calatosi giù dal cielo improvvisamente mi si è presentato.
Poiché io, pieno di sacro terrore e in atto di riverenza, ero rimasto immobile, pregandolo che mi fosse lecito guardarlo in volto, mi disse: “Va’, annuncia ai Romani che i celesti vogliono che la mia Roma sia capitale del mondo; coltivino dunque l’arte militare, sappiano e tramandino ai discendenti che nessuna potenza umana può resistere alle armi dei Romani.” E, dopo aver detto queste parole – disse – se ne andò in cielo”.
La storia però non sembra essere così rosea e infatti altre fonti parlano di un Romolo che aveva assunto ormai dei caratteri dispotici e tirannici, limitando molto l’azione e la libertà del Senato. Sappiamo quanto i romani siano affezionati alla propria autonomia e libertà e non potevano dunque più accettare altre restrizioni, così forse durante una seduta di un consiglio regio, nel tempio di Vulcano, Romolo fu ucciso, smembrato e i suoi pezzi nascosti sotto le vesti dei senatori sepolte in vari luoghi della città. La storia però sembra non fermarsi qui, perché sembra esserci un particolare ancora più macabro: alcuni sostengono che la sua testa, dopo essere stata divisa tra i senatori presenti, sarebbe addirittura stata mangiata dagli assassini. Insomma veramente una brutta fine per il primo Re di Roma.
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