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Jocelyn Hattab, dalla radio alla tv, dalla Francia a Roma, la vita del conduttore


Jocelyn Hattab, pazzo di musica, inizia a lavorare al microfono a 16 anni, a Parigi con France Inter Europe numero 1, poi Radio Luxembourg Radio Montecarlo passando per la creazione di una compagnia musical, il Big Bazar. Nel 1974 a Montecarlo crea il canale televisivo di TMC Italia, nel 1980 passa alla Rai conducendo Discoring fino al 1982 per poi legarsi a Roma grazie a Radio Dimensione Suono. Negli anni successivi tanta produzione televisiva, ma ascoltiamo la sua storia direttamente dalle sue parole.

Sei uno dei capostipiti di un mestiere, quello del dj, che non esisteva prima della tua generazione. Come ci sei arrivato e con chi hai cominciato a 16 anni?

In Francia la radio France Inter cercava giovani animatori, José Arthur mi mise davanti al microfono tre volte a settimane, per la rubrica dei giovani. Il 22 novembre 1963, ero solo in studio quando arrivò la notizia della morte di Kennedy. Nulla era pronto; i giornalisti dovevano preparare il loro intervento; io, in mezzo a questo marasma, tra musica classica di de-programmazione rispetto a quello che avevo programmato, ho vissuto i 20 minuti più lunghi della radio e forse della mia vita.

Fu un periodo di personaggi straordinari che hanno segnato un’epoca radio televisiva di leggende: fra i tuoi contendenti c’erano Arbore e Boncompagni, Foxy John. Tu a cosa ti ispiravi?

Essendo a Montecarlo, non avevo sentore di quello che succedeva in Italia nel campo della radio, vivevo nel mio mondo, con la musica che mi piaceva. Piano piano sono entrato in contatto con la realtà italiana, ma ero lontano dal genere dell’epoca, inoltre non parlavo italiano ed ero tradotto da Awanagana (in foto con me e Arbore) o Liliana Dell’Acqua e successivamente da Sophie.

Tmc avevo portato la radio in televisione, per questo si dice che io sia stato il primo VJ della storia, ma in pratica ero regista, mixer, conduttore e produttore del mio programma. La fortuna di lavorare a qualcosa di nuovo, quindi senza punti di riferimento, mi ha permesso di portare davanti ai microfoni personaggi che era difficile ascoltare in radio o che venivano considerati “scomodi” dalla televisione, come ad esempio il primissimo Renato Zero (che era considerato eccessivo e non comprensibile dal pubblico), Ivan Cattaneo (troppo stravagante per la televisione dell’epoca), Franco Battiato (ai suoi inizi, considerato non radiofonico), Vasco Rossi (“fuori di melone”) e molti altri.

La tua pronuncia francese era un marchio di fabbrica che arricchiva la tua affabilità. Bucavi lo schermo con i tuoi riccioli. Come arrivasti a Discoring? Raccontaci qualcosa di quelle stagioni da dj televisivo alla Rai.

La mamma di un noto dirigente della Rai – Giovanni Salvi -, si divertiva a seguirmi tutti giorni su TMC, parlò con suo figlio che mi offrì di condurre con un giovane imitatore, Gigi Sabani, Saint Vincent: sarebbe stato il mio esame di passaggio per Discoring. La cosa non mi entusiasmava, perché volevo fare solo i miei programmi, ma d’altra parte per me era la possibilità di entrare in Rai e proporre dei programmi nuovi. Cosi ho accettato e mi sono ritrovato a condurre 2 edizioni di questo programma, facendomi conoscere! Successivamente ho potuto proporre il mio primo programma in RaiLa Caccia al Tesoro che avevo concepito con il mio mentore Jacques Antoine. È stato divertente però ritrovare a Discoring personaggi che avevo lanciato “dal trespolo” di TMC (come Pierangelo Bertoli con me in foto ospite in trasmissione) a cui nel frattempo il pubblico si era affezionato.

Proprio in un fuori onda di questo programma, Battiato commentò dicendo: “Abbiamo cominciato tutti da quel trespolo”, che poi altro non era che uno degli sgabelli della scenografia basica di Un peu d’amour, d’amitié, et… beaucoup de musique su cui si sono seduti molti artisti, come i Mattia Bazar e star internazionali come Ringo Starr e George HarrisonDire StraitsJethro Tull e tanti altri.

Negli anni ’70 – ’80 condurre un programma televisivo poteva portare al successo e tu eri al top fra i giovani. Come lo vivevi a Roma? Raccontaci qualcosa che ti sorprese di quell’epoca.

Roma era una favola, avevo tanti amici conosciuti grazie al mio programma di TMC. Passavo quattro giorni a Roma per registrare Discoring, ed ero sorpreso di quanti inviti e richieste di cene mi arrivassero ogni giorno. Roma era la Dolce Vita per me: giornate lunghe notti piccole…Ma non era il mio stile di vita, preferivo concentrare in 4 giorni gli impegni di lavoro, tra televisione e radio e poi il venerdì ritornare a casa a Monaco.

Tanta radio, molta televisione e a metà anni ‘80 il fidanzamento con un nascente network romano e con l’editore Eduardo Montefusco. Come arrivasti a RDS e poi come andò?

Il posto per eccellenza a Roma era Vanni, punto d’incontro dello show business; lì un ragazzo mi presentò Eduardo Montefusco che mi propose di fare un programma di 2 ore il lunedì (unico giorno libero che avevo). Registravo durante il week end i brani per la trasmissione e il lunedì partiva il mio programma: Perché oggi gli spazzini si chiamano collaboratori ecologici? Prima di me in onda c’era Falcao, che raccontava la partita della domenica della Roma, ed è così che sono diventato romanista. Il programma andava bene, andava in onda nello stesso periodo di Discoring, ma dopo 2 stagioni sono partito per girare il mondo grazie alla trasmissione La caccia al tesoro e così ho dovuto interrompere la collaborazione con Radio Dimensione Suono. Anche se negli anni è rimasta l’amicizia con Eduardo Montefusco, non ho più avuto l’opportunità di lavorare in radio e questo mi dispiace, perché la radio resta uno dei miei primi amori e, come tutti i Dj, ne soffro un po’ l’assenza.

A Roma negli anni ’80 che locali frequentavi? Che ricordi hai della città di quell’epoca?

Avevo inviti di tutti generi, mi ricordo il Bella Blu, il Gilda, l’Amnesia, ma non ho mai amato le discoteche come cliente. Come molti colleghi, preferisco frequentare i locali per lavoro ed in quegli anni conoscevo di più i locali notturni dei luoghi di vacanza, dove lavoravo come dj durante le stagioni estive e le festività natalizie (nella foto ero al Camel Club di Metaponto con il mio road manager Matteo Bracciolino).

I ricordi di Roma, quindi, sono legati più alle mie amicizie romane e alle serate con Stefano d’Orazio, Raffaele Paganini, Catia Savi, Gianni Mazza, Enrica Bonaccorti e gli altri “matti” del gruppo di amici con cui ho trascorso i momenti più divertenti di quegli anni. È grazie a loro che mi sono innamorato di Roma.

A chi ed a quali episodi di quella prima parte di carriera ti senti più legato, e perché?

Devo ancora parlare del mio programma di TMC, dove succedevano sempre episodi straordinari. Non tutti si ricorderanno la scena di Indro Montanelli seduto alle mie spalle a scrivere il suo editoriale, mentre Renato Zero mi truccava cantando Madame, ma per me è indelebile! Un momento che si è concluso con una improbabile cena con due personaggi molto distanti dal punto di vista dell’immagine, ma con due grandi cervelli. Ci sono anche gli episodi legati alla presenza di mia figlia Ninon in trasmissione, perché essendo in video sia io che la madre, non sapevamo a chi lasciarla. Una volta in una puntata, nel periodo di Pasqua, si mangiò un intero uovo di cioccolata mentre noi continuavamo a parlare con gli ospiti della trasmissione, senza renderci conto che in video, alle nostre spalle, compariva lei, completamente ricoperta di cioccolata. Per quanto riguarda le persone di quel periodo, resto molto legato ad Umberto Tozzi (in foto con me e Al Bano) che, come me, abita a Monaco; insieme abbiamo condiviso i momenti più importanti delle nostre vite, e ad alcuni amici che all’epoca facevano parte delle maestranze e che, negli anni, mi sono sempre rimasti vicino.

Prima di passare alla tua fase di autore e produttore televisivo, toglici un dubbio: da disc jockey come mixavi la tua musica? Quanto e come ti sei sentito dj da discoteca?

Mixavo la musica a orecchio, facendo anche degli errori. Potrei dire che lo scratch è nato a Radio Montecarlo, quando un giorno il tecnico lasciò il canale aperto mentre stavo mettendo la puntina sulla partenza del brano; per fare questo si cerca in cuffia la prima nota, ma essendo in onda, quando ho sentito l’errore l’ho utilizzato a mio favore facendo una ritmica sul brano che era già in onda. Errore che si era trasformato in un “gioco” di ritmi, che poi ho ripetuto spesso. Era il 1975.

Solo i più bravi salgono di livello con gli anni. Da leggendario conduttore sei stato capace di evolverti in straordinario produttore ed autore televisivo, firmando importanti format. Quale fu il primo e come ci arrivasti? Chi avevi con te?

Ho avuto la fortuna di lavorare con uno dei più grande maestri del settore: Jacques Antoine, con il quale ho concepito tanti programmi. Il mio progetto era di creare e produrre programmi nuovi e il passaggio in Rai mi aiutò molto per farmi conoscere fuori dai confini di Telemontecarlo. Non è stato semplice, come non lo è neanche oggi a distanza di tanti anni e con tante trasmissioni alle spalle, proporre cose nuove per la televisione, ma in quegli anni c’erano funzionari e direttori “illuminati”, che volevano svecchiare la televisione. Tra tutti, quello per me più importate, fu proprio Giovanni Salvi, all’epoca capo struttura di Rai 1. Poi è stato un continuo proporre e negoziare, che ancora va avanti, anche se oggi ho vicino a me mia moglie Alessandra, insieme a lei abbiamo scritto nuovi format e modernizzato alcune trasmissioni di qualche anno fa che cerchiamo di proporre ai network. Nella foto siamo insieme al MipCom, il salone della televisione di Cannes, dove si svolge la compravendita dei programmi televisivi.

Dopo tanti successi in Rai, passasti a Fininvest (che non era ancora Mediaset). Cosa ti indusse in tentazione? Raccontaci qualcosa di quei tuoi programmi con i quali finalmente debuttavi  in “diretta” su Canale 5 e Italia 1.

La prima trasmissione in diretta di Canale 5 fu il mio Cos’é Cos’é nell’estate 1991, con una giovanissima Antonella Elia come inviata (in foto con me in una delle copertine dell’epoca), che faceva giocare il pubblico nelle piazze delle città in collegamento esterno.

Era eccitante essere in diretta su un canale che fino ad allora trasmetteva solo trasmissioni del tutto registrate e fu questo a convincermi a collaborare con Fininvest. Successivamente proposi per Italia 1 Caccia all’Uomo, un programma innovativo che ha dato il via ai programmi di avventure metropolitane.

Da lì in poi, Jocelyn sempre più fra i numi della televisione con la promozione alla regia ed il ritorno in Rai. Cosa successe?

Che sia chiaro, sono sempre stato regista. I miei studi al Conservatorio di arte drammatica di Parigi erano proprio per la regia, poi gli eventi mi avevano portato a fare anche altro pur di lavorare, ma professionalmente nasco come regista. Negli anni la cosa che ho un po’ tralasciato, anche se mi divertiva molto, è stata la conduzione, ma lavorando principalmente su programmi di mia ideazione, essere in regia mi permetteva di controllare meglio il mio prodotto. Non ho mai avuto contratti di esclusiva, quindi il passaggio Rai-Fininvest è stato piuttosto fluido, ma la cosa più importante fu la produzione in Rai di un programma che inizialmente mi era stato chiesto da Giorgio Gori per la Fininvest, ma che da lui venne poi considerato troppo caro. Parlo de Il grande gioco dell’oca, presentato da Gigi Sabani (con me in foto), realizzato per Rai 2 e che divenne il programma con il maggiore ascolto del 1993/94, successivamente, andò in onda in più di 20 Paesi nel mondo.

Con la maturità ti sei piaciuto sempre di più alla regia, persino in teatro! Raccontaci come ci sei arrivato e come sia diversa quella esperienza da tutte le altre.

Sono nato con il teatro e lo amo tanto. A 16 anni ero direttore di scena di quello che all’epoca era il più grande teatro del mondo: Theatre du Chatelet di Parigi. Ho sempre sognato di tornare al teatro e ho voluto fare nuove esperienze, con due opere innovative dal punto di vista tecnologico. Non avevo considerato il rischio di un’impresa così costosa rispetto ai possibili introiti del teatro in Italia. Mi è costato tanto a livello economico ed ho dovuto interrompere il sogno. Nel teatro hai il contatto diretto e quotidiano con gli attori e il pubblico, non devi aspettare i dati di ascolto, perché capisci immediatamente se il tuo lavoro ha successo o no. Sono molto dispiaciuto dell’attuale situazione dei teatri in Italia e nel mondo, a causa del Covid, ma in questo momento la salute pubblica deve avere la priorità.

Confessa! Di tantissime avventure in cui sei stato protagonista, a quali sei rimasto più affezionato e quali – potendo tornare indietro nel tempo – vorresti ripetere?

La caccia al tesoro mi ha permesso di girare il mondo e conoscere posti fantastici. Il Milionario è stato il programma in cui nessuno credeva: ho impiegato 12 anni per venderlo e poi si è trasformato in un enorme successo  (52% di share). Ma, ovviamente, il programma a cui sono più legato è Un peu d’amour, d’amitié, et… beaucoup de musique, che nel 1974 ha anticipato quelle che oggi sono le radio interattive, e che vorrei poter riproporre nella versione 2020. Credo non ci sia bisogno di tornare indietro nel tempo per riproporre i prodotti di qualità, ma credo sia utile prendere spunto dalle trasmissioni che hanno avuto più successo e renderle attuali. Anzi, se qualche radio fosse interessata a riproporre il format, io sarei ben felice di tornare in radio con tante nuove idee!

Ti meriti un monumento alla storica carriera. In quale luogo romano lo vedresti bene e che dedica vorresti lasciare ai tuoi eredi disco-radio-televisivi?

Non mi piace l’idea di un monumento che fa troppo “alla memoria”, preferisco pensare a un bel murales davanti all’Auditorium Parco della Musica, con la scritta ”Cercate sempre di avere un punto d’arrivo, seguendo i vostri sogni!”

 

L’intervista è stata realizzata da Faber Cucchetti.