Fabrizio Moro, il poeta ribelle di Roma
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Celebriamo con l’articolo di oggi la vittoria del velocista torinese Livio Berruti alle Olimpiadi di Roma, che il 3 settembre del 1960 sbaragliò gli avversari e si aggiudicò l’oro sui 200 metri piani.
Nato a Torino il 19 maggio del 1939, l’oggi ottantaduenne Livio Berruti era una giovane promessa dell’atletica leggera italiana quando dalla città natale si trasferì nel Lazio, conseguendo il diploma di maturità classica presso il Liceo classico Vitruvio Pollione di Formia. Studente di chimica all’Università degli Studi di Padova, aveva appena ventun anni quando partecipò ai Giochi olimpici di Roma del 1960. La sua medaglia fu una delle più significative della prima e ancora unica edizione italiana dei Giochi olimpici, nonché il primo oro italiano nella velocità e il terzo nel podismo dopo quelli vinti da Luigi Beccali (Los Angeles 1932) e Giuseppe Dordoni (Helsinki 1952).
Nello stesso giorno, il 3 settembre di sessantun anni fa, sulla pista dello Stadio Olimpico di Roma, Berruti corse semifinale e finale dei 200 metri piani a distanza di due ore, impiegandoci 20″5. Con questi tempi eguagliò il record mondiale della specialità, stabilito dieci anni prima dal corridore britannico Peter Radford. Indossando i suoi proverbiali occhiali da sole, Berruti aveva spaccato il cronometro sconfiggendo i favoriti della competizione, gli atleti statunitensi e il francese Abdoulaye Seye, che ottenne il posto sul podio con un bronzo. Il premio per la vittoria che si aggiudicò, ricevendolo dal CONI, consisteva in un premio in denaro pari a circa 1 200 000 lire e una FIAT 500.
Livio Berruti con la sua inaspettata performance vincente si guadagnò il soprannome “l’angelo“, per la leggerezza della falcata e l’eleganza aggraziata con la quale esprimeva la sua potenza muscolare. Da segnalare, in questo senso, è il fatto che all’epoca in cui Berruti ottenne il record mondiale nella specialità dei 200 metri, che detenne come primatista fino al 1963, la superfice di corsa era in terra battuta: questa, a differenza dei campi in sintetico odierni, non restituisce la spinta impressa dal piede, rendendo meno agevole per i corridori prendere velocità. La prima vittoria olimpica, conseguita all’inizio della carriera agonistica, sarebbe tuttavia rimasta il suo miglior risultato. Le tre apparizioni ai campionati europei gli portarono solo un settimo posto nella finale dei 200 m del 1966. Si aggiudicò comunque i titoli italiani dei 100 metri e 200 metri negli anni dal 1957 al 1962, e altri due titoli sui 200 metri nel 1965 e nel 1968. Berruti prese parte ad altre due edizioni dei Giochi olimpici, nel 1964 e nel 1968. In entrambe le occasioni sfiorò una seconda medaglia olimpica con la squadra della staffetta 4×100 m, che si classificò quinta nel 1964 e quarto alle Olimpiadi successive.
Nonostante gli ottimi risultati, Livio Berruti è stato uno studente diligente anche durante gli anni di agonismo: non trascurò mai gli studi e si laureò in chimica all’Università degli Studi di Torino, scegliendo a seguito del conseguimento del titolo di ritirarsi dalla sua attività come atleta già nel 1969, neppure dieci anni dopo aver stabilito il nuovo record del mondo. Conclusa la carriera nello sport e pur restando indiscusso modello di tecnica di corsa veloce, Berruti lavorò per un’agenzia pubblicitaria, per poi essere assunto dalla Ermenegildo Zegna. Negli anni Settanta passò alla FIAT, azienda presso cui rimase fino al 1998. Il 26 febbraio 2006 gli è stato affidato il compito di portare la bandiera olimpica nel corso della cerimonia di chiusura dei XX Giochi olimpici invernali, tenutisi a Torino. L’ISEF Torino l’ha nominato Presidente Onorario dell’associazione nel 2018.
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