Il ricordo di Nino Rota, il compositore che con le sue note ha fatto sognare chiunque
Pochi compositori hanno saputo trasformare la musica in pura emozione come Nino Rota. Dai capolavori di Fellini alle indimenticabili note de Il Padrino,[...]
Dopo 7 anni vissuti a Santo Domingo, il dj che negli anni 80 ha segnato la storia delle radio e discoteche romane torna a casa…
… Bisogna stare attenti ad esprimere un desiderio: potrebbe esaudirsi, costringendoti ad affrontare anche l’altra faccia della medaglia. Traslocare ai Caraibi – almeno per me – fu un atto di entusiasmo, coraggio, incoscienza, egoismo e soprattutto di presunzione. Scosso da un trauma sentimentale, là dove approdò Colombo ho trovato molto conforto ma poi non ho vinto la sfida professionale che mi ero imposto, da fotografo e guida turistica. Il Covid mi ha dato certamente la stilettata letale, ma anche prima non andava granché bene. In tempi di telefonini, i fotografi sono tutti alle corde. Per il lato turistico invece devo ammettere di aver sopravvalutato i proclami dei miei fans: tantissimi dicevano vengo!, ma troppo pochi hanno mosso la chiappa. Per non dire di quelli che sono venuti a pochi metri da me, preferendo chiudersi in un villaggio turistico dal quale mi salutavano cordialmente via social. Che beffa! Jajajaja! Volano 8000 chilometri per far parte di una mandria turistica e non conoscere niente del Paese.
Non l’ho neppure cercato! Sono partito perché nelle radio italiane non trovavo più soddisfazione. Tantomeno ne troverei ai Tropici. Il mezzobusto equestre l’avevo lasciato a Roma perché a Santo Domingo sono un qualunque italiano anziano, non un monumento ai ballati. Sarebbe stato semplicemente umiliante cercare di ricominciare la carriera, ed oltretutto – nella migliore delle ipotesi – per pochi spiccioli. E poi volevo essere valutato per altre mie capacità. Una sfida.
Quella è la terra delle enormi differenze: c’è di tutto! Nella capitale il livello è alto, si trovano anche ottimi dj e la gioventù modaiola ama la musica internazionale. Ma è spesso un atteggiamento, perché le loro radici sono nei suoni latini, quindi in realtà li vedi scatenarsi soprattutto con dembow, bachata e salsa. Vederli ballare – lo confesso, io che so’ de legno – è uno dei miei pochi rimpianti. Come si muovono è al di là delle nostre possibilità. Sospetto che abbiano un paio di vertebre in più degli europei.
Ho vissuto alcune vite, quindi riassumo solo qualcosa: nato casualmente a Napoli il 24.9.59 da genitori milanesi, cresciuto stabilmente a Roma dai 9 anni. Licenza media conseguita a fatica. Discreto ranista (tre titoli regionali assoluti, uno nazionale in staffetta e due primati nazionali giovanili con tre presenza in azzurro) ho nuotato seriamente finché nel dicembre 78 mi sono inventato speaker rockettaro in una delle radio che nacquero dal nulla in qull’epoca. Amavo Black Sabbath, Deep Purple e tanti gruppi hard ma avevo investito le laute mance elargite dal mio papà in centinaia di LP di ogni genere. L’impatto con il microfono fu traumatico, non tanto per me quanto per chi mi ascoltava sui 103.100. Diciamo che fra contenuti musicali, jingle ed accento non romanesco, attiravo l’attenzione. L’emittente si chiamava Dimensione Suono, aveva sede in un pied-à-terre alla Balduina ed in palinsesto annoverava alcuni nomi che sarebbero diventati presto interessanti, come Mario Tagliaferri e Antonella Condorelli. Sprizzavamo passione, non prendevamo una lira (anzi ne spendevamo molta in vinili) ma ci piaceva tanto metterci in onda.
Di lì a pochi mesi, era Pasqua del 1979, grazie alla raccomandazione di Maurizio Mantovani, principe dei tecnici audio delle discoteche di allora, debuttai all’Alibi sulla scia di Pietro Micioni. Mi lasciava il suo posto per andare ad aprire un tal Much More. Giuro che imparai a mixare da zero, notte dopo notte, agevolato dai miei natali rock e dalla benevolenza dal pubblico gay, il migliore che un dj possa incontrare. Pestavo come un fabbro 5 notti a settimana, dalle 22:30 alle 5 e oltre del mattino. Eravamo gli ultimi a chiudere, per cui a fine serata la platea era zeppa di colleghi. Se ci penso oggi è pazzesco, ma erano altri tempi. Facevo parte della seconda generazione, seguendo la prima di maestri come Claudio Casalini, Paolo Micioni e Alvaro Ugolini. Quei primi mesi furono folgoranti ed imprevedibili: mi trasformai da mattiniero super atleta delle piscine (dove mia madre aveva appena lanciato il nuoto sincronizzato, divenendo CT della prima nazionale) a disc jockey nottambulo di serie A, assumendo un ruolo che nell’immaginario popolare dell’epoca corrispondeva a fumo, alcol e dissolutezze varie. Mi guardavano come un’eccezione insopportabile, ma un vizio lo avevo: bibite a litri!
Aspetta! In mezzo ci fu un anno tormentato, durante il quale finalmente feci la mia brava ed indispensabile gavetta, inanellando delusioni ed insuccessi. Quando Casalini mi telefonò, ero imprigionato a Capri in un locale estivo nel quale in un mese avevo guadagnato solo piattole e scabbia (non è una battuta).
«Pietro va al Piper. Al Much More serve il dj, ho fatto il tuo nome – mi buttò lì Claudio attraverso la cornetta con la sua voce roca – Dovresti venire al più presto a Roma per un provino, aprono fra una settimana”
Non aspettai un istante… Ma del resto di quel debutto abbiamo già scritto e potete leggerlo qui
E lo sono ancora! Tanti anni dopo, allo scadere del millennio, per alcuni mesi finalmente lavorai con la musica che ascoltavo anche in privato. Fu magia sia alla radio (aprivo letteralmente le trasmissioni e la serranda, alle 7 di mattina) che in un paio di discoteche (Qube e Jungle soprattutto). Picchiavo giù i classici ma soprattutto quella nuova commistione di metal e rap che mi faceva impazzire, ad esempio con Limp Bizkit, Korn, Rage Against The Machine, Linkin Park… fermatemi se potete! Mixare quel rock era energia pura, la pista si agitava come un’onda. Una intensità pazzesca, mai gustato così tanto nel far ballare, in oltre 40 anni di carriera, e ballavo pure io!
Non parlo mentre lavoro in discoteca perché per mixare bene devo restare molto concentrato, odio sbagliare i cambi. E di ballare me ne guardo bene per almeno due motivi. Uno, sono goffo come un orso. Due, deve piacermi davvero quello che ascolto, altrimenti le ginocchia non si aizzano. E poi per me ballare è una cosa molto seria! La mia prima moglie era una ballerina della Crazy Gang, mi affascinò ballando. Alla seconda invece, Dominicana e quindi facile ai ritmi latini, sono fedele ballando la bachata. L’ho ballata solo con lei e avrà sempre l’esclusiva, per fortuna del resto del mondo. Ecco, a proposito: devo ammettere che una delle cose che mi mancheranno dei Caraibi è ammirarli ballare. Resto incantato, mi commuovo ammirando come sappiano muoversi con naturalezza. Quasi tutti loro, mentre a noi europei probabilmente mancano un paio di snodi fra le vertebre.
Se Rumy ha letteralmente inventato il synchro in Italia, io contribuì dalla seconda storica gara (1985) a creare il connubio fra nuoto, bici e corsa. Eravamo veri pionieri, e per sette anni mi allenai come un forsennato, straripante di endorfine. Attraverso i racconti che ne facevo a Dimensione Suono, quella apparente follia sportiva iniziò ad avere eco. Oggi è disciplina olimpica, ma in quell’epoca capitava addirittura di perdersi durante le gare, alle quali partecipavo spesso senza aver dormito, reduce dal sabato di lavoro in discoteca, dove restavo in piedi per ore respirando il fumo sputacchiato dai clienti. Ricordate? Potevate fumare, fetenti! Il più grande campione del triathlon di quell’epopea eroica è Danilo Palmucci. Appena poteva, fra una vittoria e l’altra, veniva a ballare e si distingueva perché in pista non si fermava un attimo. Ovvio…
Mi hanno sempre fatto ridere quelli che nel 2015 durante la festa ADIÓS FABERmi chiedevano se avrei lasciato l’Italia per sempre. Fin all’ultimo respiro il per sempre ha poco senso, ed io ho fatto avanti e indietro fra Roma e Santo Domingo 37 volte in 5 anni e mezzo, prima di venir bloccato come tutti dalla pandemia. La ricetta ideale per mantenerci giovani è variare, mettersi in gioco e affrontare nuovi stimoli. In quest’anno e mezzo di esilio e clausura, sono invecchiato di dieci, davvero, fuori e dentro. Per il fuori non rimedio, per il dentro prometto impegno. Una cosa è curiosa: durante il periodo dominicano ho raggiunto i miei più grandi successi di pubblico a Roma. In particolare con i Party80 organizzati con Roberto Caliman al Piper. In diverse occasioni abbiamo fatto il tutto esaurito, e si trattava di ben oltre 1000 persone selezionate e attratte dal tema nostalgico.
È un incantesimo quasi come se varcassimo la porta del tempo. I miei amici, quelli che mi seguono nella rete sociale, scendono le ripide scale da via Tagliamento e si trasformano. Gli odori, le balconate, il soffitto. Al Piper nelle miei PARTY80 ogni romano che abbia vissuto il decennio, ritrova un dettaglio che ha segnato la sua adolescenza, un reperto immutato che scatena la memoria non appena suono quel disco, uno dei nostri dischi, uno dei miei. Dovrei farmi poeta per spiegare l’esplosività di questa miscela, ma preferisco aspettarvi di nuovo giù in pista. Vi accorgerete presto che il pischello c’è ancora in fondo al vostro cuore…
Non voglio cadere in polemiche, lo sappiamo tutti che il settore sale da ballo è stato esageratamente penalizzato. Invece voglio sottolineare come già da anni io proponga serate divertenti anche in ristoranti e locali senza una pista, ché per tosare il regge pare quella la principale capra espiatoria. E allora mettiamola in aspettativa, la pista. Aspettando di poter tornare al Piper, ci confermiamo tribù che balla con le giuste precauzioni attorno a simpatiche cene fra ghiottoni: è noto che a noi nonni romani piace magnà. Se poi ci aggiungiamo la musica facciamo felici anche le nonne. Risultato: la soluzione c’era già, abbassando le luci dopo aver posato forchette e fiamminghe. Di qui in avanti possiamo solo migliorare.
Tengo a ringraziare il cuore dei miei amici della Rete, quel centinaio che mi ha sostenuto da lontano con piccoli e grandi aiuti. La solidarietà italiana è proverbiale, ma quel che hanno fatto per me pensando anche ad Elena, l’ultima arrivata in famiglia, è stato determinante. Un dettaglio importante: in risposta ai miei sperticati ringraziamenti personali, praticamente tutte queste persone hanno usato frasi tipo “te lo devo per quello che hai fatto e rappresentato durante la mia gioventù”. Mi hanno reso fiero oltre quel che potessi supporre.
Avevo qualunque progetto partendo per i Caraibi, ma non quello di tornare ad essere papà. Poi, da italiano incosciente, ho sposato non solo Angela quanto la filosofia dominicana, che non si preoccupa dell’anagrafe e di certe differenze di età che invece scandalizzano in Europa. Fatto sta che dal 12 novembre 2018 c’è al mondo una biondina dalla carnagione caramelo alla quale abbiamo dato il nome di Elena, lo stesso della nonna materna che mi crebbe a Riccione. Tutti i figli sono speciali per i loro genitori, ma in questo caso possiamo dire che la Cucchetti italo dominicana ha delle qualità innate che si fanno notare e potrebbe avere un futuro artistico. Per ora canta, balla e posa per la gioia del suo papà e di Facebook, TikTok e YouTube. In molti la aspettano a Roma per spupazzarsela senza ritegno. Lei è molto socievole, faremo molte altre foto simpatiche far amici.
Per il momento mi sono arenato, complice la mancanza di supporto dovuta ad un incidente elettrico. Molti dettagli erano custoditi in un PC che si è bruciato mentre era custodito dal mio secondo figlio Sebastian (la prima è Fabia, che mi ha già reso nonno due volte). Il progetto è ancora in piedi, ma chissà quando e come progredirà…
Intanto devo trovare una casa dove abitare, e stavolta la vorrei affittare il più possibile in mezzo alla capitale. Sport direi ormai zero. Belle donne, menzionerei solo mia figlia. Arte invece ne prevedo sempre tanta ma con preponderanza per le arti visive. Dopo essermi specializzato in Italia nella fotografia sportiva, in questi anni di Rep. Dominicana ho sviluppato le mie capacità di fotografo con le bellezze locali (panorami e ritratti) e, giusto in tempo per seguire il trend del web, mi sono dato anche ai video. Sommando nuove e vecchie passioni comunicative e creative, ora che sto per diventare adulto voglio propormi come social network manager. Appena atterrato l’altro giorno a Fiumicino, si sono fatti sotto alcuni nuovi amici per tendermi una mano e – che i numi della dance ci siano propizi – potrebbe presto saltare fuori qualcosa di molto stimolante. Ma non temete che mi proporrò per più ricchi contributi anche qui in roma.com, senza limitarmi alle interviste scritte che ho avuto il piacere di realizzare recentemente. Riguardo il lato dj, be’ quello non lo mollo ed i Party80 torneranno al più presto. Seguitemi nei social!
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