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Cesare Pascarella è stato un importante punto di riferimento della poesia romana che attraverso la scrittura ed il suo carattere ribelle ha voluto raccontare Roma ed i cambiamenti che ha subito durante l’unificazione italiana.
Cesare Pascarella è stato uno dei punti di riferimento della poesia romanesca del 1900. Le sue opere hanno saputo descrivere la società italiana post unificazione in tutte le sue sfaccettature.
La sua vita è iniziata alla fine delle guerre di indipendenza, che hanno visto per la prima volta l’Italia come un unico stato. In quegli anni Roma era ancora sotto il dominio dello Stato Pontificio e divenne parte dell’Italia solamente nel 1870.
Quell’anno il giovane poeta stava studiando anche se controvoglia al seminario di Frascati per poter diventare un giorno prete. Appena saputa la notizia della caduta del Papa e dello Stato Pontificio era talmente esaltato dall’accaduto che era fuggito dalla scuola per dirigersi a Roma a piedi a festeggiare. Durante il tragitto però venne preso a schiaffi da un anticlericale perché andava alla Capitale indossando una tunica da prete.
Quindi già in questo periodo si notava lo spirito ribelle ed anticonformista di Pascarella. Il passato adolescenziale nel mondo della Chiesa, lo aveva reso una persona amante del divertimento, dei vizi, alla continua ricerca dell’esotico. I suoi lunghi viaggi lo avevano portato in giro per il mondo alla scoperta di nuove terre da visitare, come se fosse un piccolo Cristoforo Colombo. Le sue mete principali erano l’India, il Giappone e le Americhe.
Pascarella era poi un appassionato di pittura, che nel 1900 si era addirittura unito ad un circolo di artisti che con i loro qu
adri rappresentavano la parte suburbana di Roma. Il poeta invece si divertiva a dipingere gli asini.
Cesare Pascarella è stato un poeta che ha saputo mettere Roma al centro delle sue poesie. Le raccolte di sonetti che ha scritto negli anni hanno avuto come protagonista la gloriosa città ed i cambiamenti che ha avuto nei secoli.
Basta pensare ad esempio a “Storia nostra”, una raccolta mai terminata di testi nella quale il poeta si è soffermato a ricordare Roma ai suoi antichi tempi gloriosi per poi arrivare a parlare dei tempi duri sotto lo Stato Pontificio.
Anche in “Villa Gloria” Pascarella ha voluto mostrare ancora una volta Roma, che con l’arrivo della Chiesa ha perso il suo splendore e la forza che un tempo la rendeva leggendaria. In quest’opera ha voluto raccontare soprattutto del mancato tentativo di alcuni garibaldini di liberare la città dallo Stato Pontificio. La raccolta è in modo particolare una dedica al patriota Cairoli che perse la vita cercando di riportare Roma alla sua libertà originale.
La raccolta più celebre però è “La scoperta dell’America”. È un’opera diversa rispetto alle altre, molto più leggera che illustra alcuni amici seduti in un’osteria a bere del buon vino che parlano loro della scoperta dell’America, interrompendo ogni tanto la conversazione per bere. Una classica serata di bevute al bar.
Pascarella e la sua scrittura hanno quindi dato un ricco contributo alla poesia romanesca, insieme ad altri grandi nomi come Trilussa e Belli. Quest’ultimi due però avevano uno stile simile tra loro, mentre Pascarella faceva poesia in un modo unico.
Si limitava a raccontare i fatti per come erano, per quanto potessero essere assurdi e non accennava ad esprimere il suo punto di vista, come facevano invece Trilussa e Belli. Quest’ultimo soprattutto criticava in modo satirico la società nella quale viveva e lo faceva utilizzando parole molto forti e dure. Trilussa invece era molto più delicato rispetto al precedente nonostante neanche lui ci andasse piano.
Pascarella invece dimostrava con la sua vita lo spirito ribelle. Nella scrittura era un semplice spettatore che raccontava la vita con gli occhi dei personaggi che la vivevano, che avevano appena realizzato di vivere non più nella gloriosa città di un tempo ma in una Capitale di un grande stato come l’Italia.
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