“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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A Roma i cantieri, specialmente quelli della Metropolitana, vanno a passo di lumaca da sempre. Negli ultimi dieci anni quelli della Linea C sono entrati a far parte dell’arredo urbano. Seppure irritati e molestati i romani sanno bene che dovunque si scavi, nel centro storico e nei quartieri della Capitale, l’eventualità che riemergano dalle viscere della terra inestimabili tesori è altissima. Ed ecco che la Metro prima ancora di viaggiare nello spazio – 60 chilometri risicati – è costretta a viaggiare nel tempo: novant’anni di cantieri!
La città di Roma è l’esito di un processo di stratificazione storica plurimillenaria. Il suo tessuto urbano è adagiato sopra un’enorme quantità di testimonianze archeologiche: tombe e necropoli, tracciati stradali, resti di templi, palazzi e ville, fornaci, condutture di acquedotti, cisterne e piscine. Da due secoli, ogni volta che si intraprende un lavoro di costruzione, il passato riemerge sotto forma di testimonianze fortuite più o meno significative ma sempre tali da imporre approfondite indagini, pesanti modifiche ai progetti originari o bloccare i cantieri senza indugio.
I rinvenimenti che svelano aspetti inediti e sorprendenti della Roma repubblicana, imperiale e cristiana sono all’ordine del giorno, non solo nel centro storico ma anche nelle periferie dove nascono nuove zone residenziali, commerciali o si realizzano opere di urbanizzazione. Tuttavia, non contenti della propria mirabile storia, gli abitanti di Roma e del Lazio stanno prendendo coscienza di aver avuto anche una preistoria, testimoniata da teschi e ossa umane paleolitiche, insediamenti e manufatti dell’Homo habilis e dei Neanderthal e anche resti d’animali vissuti centinaia di migliaia di anni fa che testimoniano i grandi cambiamenti geologici e climatici del nostro pianeta.
A fine ’800, mentre si scavavano le fondamenta per la costruzione dell’Altare della Patria, i sedimenti trasportati dal Tevere in milioni di anni restituirono uno scheletro intero di Palaeoloxodon antiquus, una specie di elefante contemporaneo dei Mammuth lanosi vissuti in Siberia tra i 550.000 e i 120.000 anni fa. Cinquant’anni dopo, durante gli sbancamenti del 1932 per la realizzazione della via dei Fori Imperiali, emerse un secondo esemplare di proboscidato arcaico assieme a ossa di Bos primigenius, un bovino preistorico di 300.000 anni.
Nel quartiere di Montesacro, tra l’Aniene e la tangenziale, durante i lavori per l’espansione edilizia del 1935, i paleontologi che scavavano nella cava di ghiaia di Saccopastore portarono alla luce due crani – uno femminile e uno maschile – di uomo di Neanderthal e alcuni suoi manufatti in pietra databili a 250.000 anni fa. Se ne aggiunse poi un terzo. Per molti studiosi questi reperti apparterrebbero dunque alla più antica comunità di Neanderthal di cui si sia mai trovata traccia in Europa. Nello stesso luogo furono rinvenute anche numerose ossa di elefante dalle zanne dritte, di ippopotamo e rinoceronte, la cui antichità è stata stimata in 290.000 anni.
A poca distanza da Rebibbia, in località Casal de’ Pazzi, nei primi anni ’80 una pala meccanica mise a nudo un deposito geologico di ghiaie e sabbie mescolate a migliaia di ossa di animali (pachidermi, cervidi, ienidi ed equini) e anche a un frammento di cranio umano. Fra quei resti di animali vissuti 300.000 anni fa in un territorio e in un clima tropicale completamente diverso da quello attuale, si ritrovano enormi zanne di elefante, ossa di rinoceronte e ippopotamo, resti di cervi, iene, lupi e cavalli. Altri frammenti di ossa umane e strumenti in selce sono stati rinvenuti a Ponte Mammolo, in Piazza Elio Callistio e sotto Monte Antenne.
Tra Aurelia e Boccea a nord ovest del GRA si trova la “Polledrara” (corruzione di “puledrara” cioè allevamento di puledri) di Cecanibbio dove, nel 1985, i paleontologi hanno iniziato a portare alla luce decine di migliaia di resti fossili di 50 pachidermi ma anche di scimmie, tartarughe, cervi e cinghiali, tutti dalla età stimata di circa 325.000 anni. In questo “cimitero pleistocenico” – oggi trasformato in museo e comodamente visitabile – è stato rinvenuto anche un molare appartenente a un bambino di Homo sapiens heidelbergensis, vecchio di almeno 250.000 anni. La presenza umana alla Polledrara è documentata non solo dai molti strumenti in selce scheggiata o levigata sparpagliai nel sito ma anche dagli evidenti segni di macellazione, raschiatura e frattura lasciati proprio da quegli strumenti sulle ossa di un grande Elephas antiquus rimasto intrappolato nel fango in posizione verticale.
L’elenco dei ritrovamenti paleontologici a Roma e dintorni è molto lungo e in costante divenire. Gran parte del merito di queste scoperte, va attribuito alla presenza di tre fiumi (il Tevere, l’Aniene e il semisconosciuto Almone) e dei molti fossi e marrane che nei millenni hanno cambiato più volte il loro corso, hanno formato paludi, invaso terreni, scavato nuovi alvei, trasportato materiali di ogni genere e sedimentato fanghi e detriti che hanno contribuito alla fossilizzazione. Dobbiamo però essere consapevoli che su questi “giacimenti” poggia una città fatta di monumenti, palazzi, condomini, case e quartieri in cui vivono e lavorano più di tre milioni di persone. Archeologi e paleontologi devono spesso arrendersi dall’intraprendere esplorazioni e scavi in aree abitate ma con un po’ di fortuna e tanto senso civico riusciranno a restituire a Roma e al mondo un passato remotissimo con tanto di elefanti che precedettero quelli di Annibale e di uomini che vissero prima di Romolo.
Sergio Grasso
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