Fabrizio Moro, il poeta ribelle di Roma
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Un grande attore e personaggio televisivo, Valerio Mastandrea è uno dei grandi attori romani presenti sulla scena contemporanea; istrionico, drammatico, comico, ogni ruolo gli sembra cucito addosso, teatro, cinema, televisione e infine il suo grande amore: la Roma.
Quarantanove candeline spegne oggi per il grande attore romano Valerio Mastandrea, romano de Roma, verace e che nonostante la sua strepitosa carriera è rimasto sempre umile e con i piedi per terra. Ha iniziato a farsi conoscere al pubblico italiano per le sue apparizioni al Maurizio Costanzo Show, poi finalmente si fa conoscere per il suo lavoro di attore, raggiungendo la celebrità nazionale nel 1996 nel film Palermo Milano – Solo andata. Mastandrea è il simbolo di una generazione di romani, tanto da interpretare anche un ruolo simbolo del teatro romanesco: Rugantino. È versatile sul set passando da ruoli drammatici a comici molto facilmente. La sua carriera gli ha regalato ben quattro David di Donatello, il maggior premio italiano per un attore, con i film La prima cosa bella, Gli equilibristi, Viva la libertà e Fiore. I suoi fan più sfegatati lo hanno soprannominato addirittura il Quarto Re di Roma. Ultimamente è apparso ospite quasi fisso in televisione dove ci ha regalato interpretazioni teatrali di momenti presi dalla vita quotidiana, come questa:
La sua squadra del cuore nemmeno a dirlo è La Maggica che sostiene sempre e comunque, nei momenti di gioia e in quelli di difficoltà. E proprio da uno di questi dolorosi momenti, dopo quella maledetta partita del 10 aprile 2007, in cui la Roma perse sette a uno contro il Manchester United che nasce una delle poesie più belle e sentite che un romanista possa mai leggere.
Sì a papà, era sera… era d’Aprile
er pesce era passato
muto e senza spine.
Nell’Albione perfida e a modello,
cavalli mozzicanti invece che er manganello.
S’era partiti pè n’impresa,
de quelle da raccontà davanti ar focolare,
tutto bruciava ‘n petto,
muto er cellulare.Chi era rimasto in terra sampietrina
era du’ giorni che nun dormiva come dormiva prima
er traffico nun c’era,
i semafori silenti,
i dentisti s’erano rifiutati de cavà li denti,
i televisori a palla coprivano li piatti apparecchiati,
qualcuno pannellava,
sciopero dei carbroidrati.Poi venne l’ora…
quella che nun viè pe’ tutti
eravamo tutti belli a papà,
nun esistevano più li brutti,
nun era un sogno era reale,
manco li gabbiani sur tetto der Quirinale.
Parte l’orologio, fischia l’omo in giallo,
partono le vene, pompa er core de metallo,
manco la prima scarica de adrenalina pura,
che ar decimo più o meno l’idraulico ce stura,
ce stura er lavandino dove nun score niente,
se non il sangue de chi crede a la panza e no alla mente,
tu pensi “daje… daje regà, nun è successo niente,
è ‘na battaja, battaja dirompente,
via la maja dai carzoni! Sporcateve er battente!”
e invece niente…Li vedi rotolà su un prato all’inglese
come ‘na balla de fieno a Porta Portese.
Poi parte un conto alla rovescia dei malrovesci che ce danno
pensi ancora “daje… basta poco!” si… ma quanno?
Nun c’è er tempo pè fermà er tempo boia
pensi “mai… mai, un giorno de gloria”
e qui, papà, devi pensà… sì!
Che chi dopo sta sera d’aprile è annato a festeggià
la gioia la troverà solo sulle disgrazie altrui
pè sta gente nun c’è luce… papà, ma solo giorni bui!
perchè chi pe’ sorride deve vedè piagne uno, mille e centomila
è uno che nella vita sua starà sempre in fila.
Chi invece la prova… la vita sulla pellaccia
nun starà mai a chiede un sorso da’ n’artra boraccia
sii orgoglioso, a papà, de’ provà emozioni davanti 11 leoni
a vorte un po’ cojoni… è raro, amore mio
è raro come te
e come mamma tua
che dopo er 7 a 1, c’ha lasciato a sparecchià
“Li mortacci sua!!!”
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