Se pensate che i cartelloni pubblicitari in giro per la città siano cosa recente, vi sbagliate di grosso! Ancora una volta gli usi degli antichi romani vi stupiranno….
Le pubblicità nell’antichità
Come avviene per noi oggi, anche anticamente il popolo romano veniva informato di ciò che accadeva attraverso specifiche comunicazioni. E tuttavia, gli “avvisi” non avvenivano solo mediante gli oratori in piazza. Pare infatti, da molte iscrizioni sui muri uniche nel loro genere, che gli antichi amassero comunicare qualcosa, soprattutto esponendola agli occhi di tutti, attraverso vere e proprie incisioni murarie o epigrafi. D’altra parte, l’alfabetizzazione era molto diffusa ai tempi e non solo fra i patrizi, ovvero tra gli appartenenti alla classe sociale dei romani più abbienti. Molti plebei, infatti, riuscivano a leggere e a scrivere, a maggior ragione se erano impegnati in campo mercantile e da quello dipendeva la sopravvivenza della propria famiglia. A non essere esclusi, inoltre, gli schiavi, che a volte scribi, altre addirittura precettori, potevano accedere a vere e proprie scuole. A riguardo, Roma poteva vantare la presenza di numerosi luoghi adibiti al sapere, aperti a chiunque volesse imparare.
Due tipologie di comunicazione
Ma arriviamo alle tipologie di comunicazione adottate dai romani. Dovete sapere che, i nostri antenati, avevano due modi principali di comunicare, come ogni lingua odierna: uno più formale, l’altro più informale. Se della prima facevano parte gli avvisi istituzionali, alla seconda appartenevano, invece, tutte quelle comunicazioni, frasi, aforismi o parole, scritte in bella vista, in determinati luoghi pubblici e alla mercé di ogni passante. Un esempio può ancora oggi considerarsi Pompei, nella scritta – unpolitically correct (a mo’ di alcuni moderni street’s artists):
«Admiror, paries, te non cecidisse ruina qui tot scriptorum taedia sustineas»
Questa scritta sta a significare: «Mi stupisce, o parete, che tu non sia ancora caduta in rovina, poiché rechi il peso delle fesserie di tanti scrittori». Non mancano, infine, scritte intenzionali, rivolte a specifici lettori.
Insomma non si può certo dire che Pasquino o le sue pasquinate siano nate casualmente a Roma! Con inchiostro, scalpello per incisioni o pennelli, le scritte di Roma potevano considerarsi alla pari dei nostri disclaimer, delle nostre pubblicità, delle nostre “strategie di marketing” o dei nostri cartelli per gli avvisi! Anche quando si trattava di “scritture vulnerabili“, come direbbero gli esperti: frasi dipinte, e per via della pittura più inclini alle intemperie e alla rovina, quindi utilizzate per avvisi veloci, temporanei, simil “post it“, di cui si trovano esempi all’interno del meraviglioso parco di Villa Pamphili, in particolare nelle sue nicchie. Luoghi in cui spesso venivano tracciati con un’apposita vernice rossa, i nomi dei defunti.
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